Nel campo « Ambuleio »

avvenne l'incontro di S. Leone Papa con Attila

(tratto da Claudio Gobbetti "Governolo: un viaggio nella storia" p. 23 - 26)

 

Nell'anno 452 d.C. le orde barbariche degli Unni, dopo aver invaso e distrutto l'Italia settentrionale, minacciarono seriamente Roma. L'Imperatore Valentiniano, con il senato romano supplicò Papa Leone I° di incontrarsi con il temuto invasore. E' opinione diffusa che il famoso incontro di Attila con Papa Leone sia avvenuto dove il Mincio sfocia in Po, cioè a Governolo.
Il più antico storico che parla di questo importante avvenimento è Giornanda. Egli racconta che Attila, dopo la presa di Aquileia e la devastazione di Venezia, entrò nell'Insubria, dove spogliò Milano, Pavia ed altre città, senza però distruggerle. Retrocedendo verso Venezia, pose, egli dice, le tende nel campo dei Veneti detto Ambuleio,' dove il fiume Mincio tragittasi da una moltitudine dei viaggiatori...[1]
Egli non precisa se tale campo dei Tartari stesse dove il Mincio sfocia in Po. Saranno Paolo Diacono, tre secoli dopo, e l'autore anonimo della "Storia Miscella" 600 anni dopo, ad aggiungere dove il Mincio sfocia... senza accennare a Governolo.
Giordanes resta comunque lo storico che merita maggior fede dato che riferisce episodi avvenuti solo cento anni prima. Certamente una obbiettiva osservazione geografica di Governolo, lo mette in una situazione privilegiata. Se è vera l'affermazione secondo la quale il campo « Ambulejo » (forse da ambulare?) si trovava nei pressi della foce del Mincio, e che la nostra zona ancor oggi di confine con il Veneto in passato ne ha fatto parte, l'antico nome di Governolo avrebbe potuto essere proprio « Ambulejo ». Agli inizi del 1600 il Duca di Mantova e il Vescovo Francesco Gonzaga vollero conoscere il luogo preciso di questo incontro. Gabriele Bertazzolo volle dimostrare con un libro apposito che l'incontro avvenne a Governolo.[2]
Dietro sua iniziativa fu costruita una chiesetta dedicata a S. Leone. L'ipotesi del Bertazzolo fu comunque contestata a proposito della sistemazione idrografica del fìume Mincio di quei tempi. Nelle campagne vicine a Governolo vi sono due località che portano l'interessante nome di Fortìn d'Attila (vicino a Nosedole) e di S. Leone Magno (zona di confluenza del Mincio con il Po). Infine è molto significativo il ritrovamento nell'azienda agricola Due Madonne (sull'Ostigliese vicino a Garolda) di una daga (spada corta e larga a due fili) di bronzo sul petto di uno scheletro, probabilmente di un guerriero. Tale ritrovamento avvenne pochi anni prima del 1960. Il Sig. Previdi, attuale proprietario dell'azienda agricola, altro non sa ricordare se non che furono cercate le borchie di quella « spada » che gli esperti portarono in un museo civico e della quale non venne più a sapere nulla. Dai discorsi che intese da loro, quel guerriero doveva essere un Unno di Attila. La dimostrazione storica del luogo preciso dove avvenne l'incontro, potrà essere determinata quando si dimostrerà dove fosse questo campo « Ambulejo » degli Unni. Il « miracolo » di S. Leone Magno Per spiegare l'improvvisa ritirata degli Unni subito dopo l'incontro con Papa Leone I, si consolidò la fede popolare di attribuire il successo del Pontefice ad un intervento Divino. Si raccontava che durante il colloquio del Papa con Attila fosse visibile la presenza degli apostoli Pietro e Paolo, questo permette di interpretare la frase « con la presenza minacciosa degli apostoli Pietro e Paolo » (presentia minitabunda) scolpita nella lapide posta più di mille anni dopo a cura del Vescovo Francesco Gonzaga (vedi articolo specifico). Il racconto di tale miracolo appare già nel IX o X sec. Esso fu ripreso nel XII sec. da Sigiberto di Gembloux e nel XIII sec. da Giacomo da Voragine nella leggenda aurea.[3]

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[1] « in campo Venetorum Ambulejo, ubi Mincius amnis commeantium frequentatione transitar ... » (Jordanes - De Reb. Getic). [2] G. Bertazzolo, Breve descrizione della vita di S. Leone Magno e di Attila, dedicata a Gianfrancesco Pullicani (ristampa del 1727). In questo studio alle pagg. 6-8 riporta le affermazioni di Platina, jacopo Bergomense, Biondo Flavio, il Sabellico, Giovanni Nauclero e gli annali del Baronio. [3] Cfr. DANIEL Rops, La Chiesa al tempo dei barbari, Ed. Marietti, Vol. 11, pag. 103.