Matilde di Canossa e il Re Enrico IV nella storia di Governolo
Alcune pagine della Vita Mathildis del Donizone

Codice Originario del 1115 secondo la traduzione di G. Manzi e U. Bellocchi
(Tratto dal testo di C. Gobbetti "Governolo un viaggio nella storia" p. 162 - 165)
 
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Terza venuta di Re Enrico IV in Italia e assedio di Mantova
 

Come il Re Enrico divenne radicale nemico della Santa Chiesa e dell'amabile donna Matilde, in qualunque luogo gli fosse possibile, le sottraeva terre, impegnandosi a fondo dovunque le avesse; in particolare la privò di tutte le ville e città che la Contessa possedeva, per eredità materna, al di là dei monti, ad eccezione di Briey, castello molto forte, di vaste proporzioni, e ben fornito; il Re lo assalì, ma non riuscì ad entrarvi. Dopo quasi dieci anni da quando se n'era andato dall'Italia, il Re armò dei cavalieri, giurando di volersi fermare per sette anni sulle terre di Matilde, trascurando ogni pensiero di pace. Raccolti forti contingenti, discese verso i regni italici. Il terzo mese dell'anno, maggio, era rigoglioso d'erbe e di foglie. Alla predetta signora rimaneva una città particolarmente cara, che da antichissimo tempo si chiamava Mantova, città assai ricca e prestigiosa. Il re, desideroso di prenderla, fissò gli attendamenti attorno ad essa; dal canto suo la nobile e forte Matilde, acuta guida, la riempì di guerrieri scelti e di vettovaglie. Standosene fra i suoi monti, ella guardava con sufficienza tutti i nemici. L'esercito del Re portava frequenti ed aspri attacchi alla città. I cittadini, unicamente ai guerrieri della Contessa, balzarono fuori, uccidendo, sconvolgendo e respingendo le schiere alemanne. Mantova era ben protetta, e il Re era attestato lontano, ma sui cittadini incombeva l'assedio già da undici mesi. Frattanto, si consegnavano alle truppe del Re Rivalta e la Torre di Governolo. I guai di quel tempo non turbarono però l'ancella di Pietro, la quale inviò agli assediati frequenti e copiosi rifornimenti, vivamente pregandoli di mantenersi fedeli. Essi la rassicurarono. Matilde, che molta fiducia riponeva in quei cittadini, fu però ingannata dalle loro parole: essi, infatti, tramarono di nascosto per consegnare nelle mani del Re la città e la sua guarnigione prima del giorno di Pasqua, che era assai prossima, e che allora doveva celebrarsi nel secondo mese, in aprile. Confermarono la decisione, e come Giuda la condussero ad effetto. Infatti, nella stessa notte in cui Giuda mercanteggiò e tradì l'Iddio Gesù, la città di Mantova fu consegnata al nemico. Ma mentre il crudele sovrano faceva il suo ingresso nella città, ne uscivano i nobili della Contessa, portati fuori sui loro navigli con i propri beni e le armi. Il diamante è dura pietra: analogamente la Duchessa si mantenne salda tra i molteplici guai occorsi in quegli anni. La predetta pietra può essere spezzata soltanto coi sangue di capretto; Matilde non cede di fronte alle sventure, e nemmeno il sangue sparso riesce a piegarla. Infatti ella, che poggiava le sue fondamenta su solida pietra, restava salda, e non poteva per ciò essere scossa né da frutti né da venti. Nell'anno 1091 mostrasti la tua bassezza, o Mantova, e ti degradasti nel tradimento. VII. L'assedio di Montevaglio e la conquista d'un vessillo regio presso Canossa […] La perdita di quel vessillo segnò l'inizio del suo declino, e proprio da allora prese consistenza il soprannome di Perdicause. La gente di Matilde, osannante, adorando con venerazione Cristo, portò solennemente il vessillo dei Re nel tempio di sant'Apollonia, dove, come è noto, si conserva tuttora. Mentre questi fatti avvenivano, ottobre era nei campi. Dopo aver riposato, nella sua tristezza, una sola notte a Bibbiano, il Re, la mattina successiva, prese in fretta la via del Po, e due giorni dopo attraversò il fiume. La sua potenza cominciò a declinare di anno in anno. Le schiere di Matilde si portarono subito nei luoghi della Bassa, e successivamente passarono al di là del Po. Riconquistarono con le armi, duramente colpendo le popolazioni ribelli, quelle terre che la Duchessa, poco prima, aveva via via perdute. Fu così restituita alla Signora anche la Torre di Governolo, ricca di molte provviste e di beni del re, e non molto tempo dopo le fu riconquistata Rivalta.La parte cattolica ottenne in quell'anno notevoli successi.

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IX. L'assedio di Nogara

Preso più del solito da un senso di avvilimento, come un esule che non sappia il da farsi, il Re, senza coraggio, non trovava riposo né di notte né di giorno. Infine, ritenne di potere risollevarsi come prima; e chiamati a sé i cittadini di Verona, se ne andò a porre l'assedio al castello forte e grande di Nogara. La notizia giunse all'orecchio di Matilde, la quale, come seppe che erano stati subito radunati dei gagliardi modenesi, attraversò il Po. Governolo la accolse di notte con favore, ma il Re venne a saperlo. Impallidì per questo e ne rimase sbigottito, decidendo all'istante di mettersi in movimento nella notte stessa, ma con l'identico timore con cui Dio una volta stordì gl'iniqui Siri, quando essi avevano circondato Samaria. Essi erano assolutamente certi che la città sarebbe caduta, presa nella morsa della più terribile fame. Ma nell'oscurità della notte si alzarono tutti tremanti, dimenticando vasi, morsi, abiti diversi ed anche spade; fuggirono lontano, e la città fu riempita di ricchezze. Dio insinuò dunque analogo, improvviso tremore nell'animo del Re, il quale, fuggendo da Matilde nottetempo, abbandonò nel campo vasi, morsi e briglie in perfetto stato. Il castello di Nogara accrebbe il suo amore per la Contessa, e l'indomani mattina la ricevette ardentemente, come desiderava. Insieme alle proprie schiere, Matilde ne tragga motivo di letizia, come Giuditta: però non uccise il Re in un unico episodio, come aveva fatto Giuditta con Oloferne, bensì lo incalzò di continuo, tendendogli mille trappole, nelle quali egli cadde anche quando pensava di poterle evitare. 

 

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