Governolo 1614:la prima processione dedicata a S. Leone Magno
 Tratto dal Libro C. Gobbetti "Governolo: un viaggio nella storia" ed. governolese

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452:  da un disegno, l'incontro di Papa Leone Magno con Attila presso il campo "Ambulejo".

Il Vescovo di Mantova Francesco Gonzaga e il Duca, desideravano conoscere il luogo preciso in cui S. Leone Magno affrontò Attila.[1] L'ingegner Bertazzolo riuscì a dimostrare che tale incontro avvenne a Governolo.[2]

Raggiunto questo risultato gli fu facile ottenere da Roma le reliquie di S. Leone Magno con l'autentico per la loro ricognizione e venerazione.

Il Bertazzolo affidò l'incarico al valente pittore Francesco Borgani di dipingere un quadro raffigurante tale incontro.

Inoltre fu costruito un oratorio dedicato a S. Leone nei pressi della località dove il Mincio sfocia in Po.[3] Di quell'oratorio oggi non vi sono più tracce evidenti, ma rimane il segno topografico nella mappa settecentesca Teresiana. Si può invece ammirare il dipinto del Borgani nella sagrestia dell'attuale chiesa.

Nell'anno 1614 il giorno 10 aprile, a Governolo vi fu una grande sagra in pompa magna e una solenne cerimonia.

Così il Bertazzolo cercò di esprimere quegli indimenticabili giorni di festa:

"... Incominciò adunque alli 10 di aprile del presente anno 1614, il giorno precedente alla festa di S.. Leone, mentre arrivò nella barca destinata la cassetta delle sante reliquie, accompagnata da molti preti, e da' Signori Musici di S.A., la quale fu levata fuori e portata alla Chiesa processionalmente dal Signor Don Girolamo Filippi degnissimo Arciprete di Governolo, accompagnati dalli molti reverendi Padri di S. Francesco di Paola".[4]

 

A questo punto viene precisato, nella ristampa del 1727, che tali Padri avevano convento e chiesa nel castello di Governolo e che tale convento fu distrutto dalle ultime guerre, mentre nella chiesa rimasta parrocchiale, fu fondata la Compagnia del Santo Perdon d'Assisi di 3000 fratelli.

Il Bertazzolo continua descrivendo la presenza della Confraternita del SS. Sacramento, nonché del Commessario, del Massaro e dai governolesi. Le reliquie furono collocate sull'altare maggiore. Il notaio di Governolo, Signor Marco Tullio Costa, fece un rogito che dichiarò tali reliquie donate dal Bertazzolo alla comunità di Governolo. Le reliquie furono custodite in una cassa grande che ne proteggeva una più piccola destinata ad essere collocata nella nicchia sotto l'altare.

Il Bertazzolo descrive il reliquario in questi termini:

« ... feci fare una cassetta d'ebano, rimessa di cristalli di Monte e di Lapis Lazuli (lapislazzoli), la quale tutta coperta di fogliami d'oro, con una croce medesimamente di cristallo finissimo, tutta d'un pezzo in cima, in argento dorato legata, forma un molto appropriato reliquario ... ».

L'arciprete, il Massaro, il Commissario e il Massaro del SS. Sacramento ebbero in consegna una chiave ciascuno: i primi tre per la cassa e il quarto per la nicchia.

In questa circostanza fu espresso il patto che tale reliquia, oltre ad essere aperta in presenza di queste quattro persone, potesse essere esposta alla venerazione dei fedeli soltanto l' l1 aprile di ogni anno e cioè per l'occasione della processione di S. Leone. Inoltre poteva essere esposta in circostanze straordinarie, come il pericolo dell'inondazione del Po, peste, fame, guerra ecc., per impetrare alla misericordia divina le grazie necessarie.

Ogni qualvolta si esponeva la reliquia doveva essere accompagnata dal suono delle campane della torre e della chiesa. Tale cerimonia doveva svolgersi al suono dei tamburi in memoria della guerra fra Attila e la cristianità.

Il giorno seguente, l'l1 aprile del 1614, il Bertazzolo ci narra che alla presenza del Vescovo fu cantato un grazioso motetto e così ci descrive la processione:

« ..., ed incamminata la Processione, alla quale precedeva prima un buon numero di Figliuoli, i quali col Diadema, Ale, e Vesti appropriata, erano benissimo figurati per Angioli, portando ciaschedun di loro una Ghirlanda in una mano di Fiori, e nell'altra una Palma, a, questi seguiva un grandissimo numero di Vergini, e di Fanciulli tutti vestiti di bianco, medesímamente con una Ghirlanda in capo, ed una per mano, succinti con centè e bande di diversi colori, e dopo questi le Confraternite de' Disciplinanti delle scuole circonvicine, con quelli di Governolo; e dopo questi i frati di S. Francesco di Paola, e d'indi i preti in grandissima quantità;

 e finalmente il baldacchino, sotto il quale era portata la Cassetta delle sante reliquie, per mano del Signor Don Francesco Orlandi, dal quale fu, dopo la Processione, cantata la Messa nuova, essendo accompagnata sempre la processione dalle viviole, e da un nobilissimo Coro di Musici di Sua Altezza, oltre il Coro della Musica fatta dal Clero, i quali tutti a vicenda andavano con dolcissima armonia onorando la Processione, e lodando la Divina Maestà delle grazie, che alla sua immensa bontà piace concederci ... ».[5]

 

L'oratorio ove vennero esposte per la prima volta le reliquie, ci viene descritto adornato con una grandissima loggia sopra l'altare fatta di tende, di tappezzerie, di drappi di diversi colori con molti festoni. La loggia aveva due porte rispettivamente per l'entrata e per l'uscita della processione.

In quel grandioso giorno furono lasciati sull'altare quelle ghirlande e quei fiori che vennero portati durante la processione.

In tale circostanza il libro del Bertazzolo ci riporta tutte quelle scritte che rendevano lode a S. Leone Magno.[6]

Terminata la processione, arrivati sul luogo, vi fu un momento di silenzio e poi fu ricantato un motetto.

 Lo storico discorso al termine della processione

Abbiamo visto nella particolareggiata descrizione del Bertazzolo, come a quei tempi costumasse nelle solenni processioni, vestire i fanciulli (ragazzi) da angeli con le ali e con i fiori in mano.

Al termine della processione, dopo aver esposto la cassetta delle reliquie vi fu una dolcissima sinfonia dal tocco raffinato delle viviole.

Terminata l'esecuzione apparvero sul pulpito un gruppo di quei fanciulli vestiti da angelo, uno dei quali esclamò un interessante discorso che ci permette di cogliere l'esperienza e cultura religiosa di quei tempi.

Si tratta di un discorso espresso con i toni enfatici propri del tempo, in cui vengono esaltate la virtù del Papa contrapposta alla crudeltà di Attila: chiamato il Flagello di Dio.

Inoltre attribuisce l'improvvisa ritirata di quest'ultimo ad un intervento divino e si dilunga sul privilegio, riservato ai governolesi di possedere la reliquia di S. Leone Magno che hanno la fortuna di custodire cotal reliquia.

Riportiamo il testo integrale di questo discorso di cui lo stesso Bertazzolo potrebbe essere l'autore.

E' importante perché sono rari i testi del 1600 pervenuti fino a noi e questo è tutto dedicato allo storico incontro del Papa con Attila avvenuto a Governolo.

In memoria venne deposta una lapide, tuttora esistente presso l'azienda agricola S. Leone.

Finito il discorso il Vescovo intonò il Sit Nomen Domini Benedictum. Fu data la benedizione in Pontificali con l’indulgenza plenaria concessa per la solenne occasione dal Papa.
Terminata la processione ebbe inizio una solenne Messa cantata dai Musici di Sua Altezza.

1614: Discorso al termine della processione 

« Se mai in terra Nobile abitata da Uomini generosi, vien condotto il Corpo di Capitano, o di Principe, che presso di loro abbia per l'additerò fatte prove segnalate, o giovamento alcun particolare, tutti corrono ed a gara di vederlo procurano per riconoscerlo, per contemplarlo, e colla mente ben divota (non potendo in altro onorarlo) rendergli i dovuti inchini ed augurargli Pace Eterna, per guiderdone del già ricevuto benefizio.

Ben si conviene adunque, che ora tutti Voi Abitatori di questa valorosa Terra, e Voi altri circonvicini di così celebre luogo, che a schiere vi conduciate a vedere, onorare, e adorare le Reliquie del Beato Corpo di San Leone Primo, Pontefice, Ottimo, Massimo di quel Leone dico, che vero Capitano della Chiesa militante, Sommo Pontefice, e Principe della Cristiana Religione, in questo Luogo, dove il Mincio, a quel tempo non molto discosto a questa Chiesa, soleva sgorgare in Po, vestito d'Abito Pontificio, accompagnato da Vescovi, da Prelati, e dal Senato Romano, venne ad incontrare quel grande, e per la sua crudeltà fatto tremendo, Re degli Unni, Attila; che con perpetuo esempio di barbara crudeltà si era acquistato, col non perdonare a sesso, né ad età, il titolo di Flagello di Dio; e non contento di ciò dopo aver rovinate, arse, e distrutte tante Città, tanti Palaggi, tante Terre, s'era risoluto di andarsene a Roma, verso dove aveva già incamminato la maggior parte del suo Esercito la quale tutto di Sangue tinta, dopo aver distrutta Firenze, vittoriosa di bestiale ferità, contro i poveri innocenti di quella, quasi trionfante se ne andava ardita, per rovinar non solo quell'Alma Città, ma ancora tutte le altre dell'Italia insieme.

Per lo che, confidato questo Santo Pontefice nella Misericordia di Dio, non armato di Soldati, ma di Grazia Divina, gli venne incontro, e ritrovatolo in questo vostro Luogo, mentre era circondato da Schiere d'Uominí armati, e Capitani valorosi, intento a veder passare il rimanente del suo Esercito il Po, gli comandò da parte di Dio, che non passasse più oltre nel suo viaggio; alle quali parole (o gran bontà del Cielo!) non solo ubbidì il crudo Re, ordinando che il suo Esercito si fermasse di passare più avanti, ma comandò anche, che se ne ritornasse addietro, con non poca ammirazione di tutti suoi, e di tutto il Mondo insieme; di modo che, parendo universalmente ad ognuno cosa tanto straordinaria, ed insolita al suo essere, alcun de' suoi Consiglieri di Guerra ardirono di rimproverargli così fatta risoluzione, come forse, che fosse azione indegna alla Potenza, o Maestà di un tanto Re che mai per l'addietro aveva ceduto a qualsivoglia incontro, o minacce di potente Nemico o di periglíosa Fortuna; e tanto più gli pareva strano, quanto che in un sol punto, ad istanza di un semplice Vecchierello, accompagnato da Persone Togate, o vestite di Manto Ecclesiastico inesperto dell'Armi, quell'ardire, quell'intrepido Cuore, che si era dimostrato in tutte le sue azioni tanto pertinace, ed implacabile, si fosse lasciato ammollire, o avvilire, di modo che, quelle Ciglia, quei Piedi, e quei passi, che per l'addietro mossi da' Soldati verso le Provincie intiere, solevano indurre ne' Cuori degli Uomini timori grandissimi, e spaventi intollerabili; ora rivolti altrove, fossero Ministri per condurli ove il timore de' loro propri Cuori gli dettasse il cammino: onde avevano ben ragione di rimaner attoniti.

Perciocché, chi non rimarrebbe più che ammirato, se vedesse un Agnello a spaventar un Leone, un picciol Cane sbigottire una Tigre, un'Anatra il Lupo, un Pulcino il Nibbío?

Tutti, tutti questi paragoni non sono punto discrepanti, ma simili a quello tra San Leone Papa, ed Attila Flagello di Dio, perché non era meno lontana la crudeltà dell'uno alla bontà dell'altro, la superbia di questo alla umiltà di quello, e finalmente la potenza di Attila alle forze del Pontefice: posciacché egli già col Ferro, e col Fuoco, e con ogni genere di crudeltà, e di potenza invincibile, s'aveva aperta la strada, e rotti tutti gli ostacoli della misera Italia, e fatto tutti Popoli circonvicini; formidabile miracolo dunque inaudito, grazia del Sommo Iddio inenarrabile, Storia degna d'essere eternamente scritta in sode Pietre, ed eterni Metalli, e merítatamente a Lettere d'Oro inserita fra le Sacre Lezioni del Breviario Romano.

Ben vi potete chiamare favoriti dal Cielo, Uomini di Governolo, d'aver Reliquia tanto importante, di Santo così glorioso, di Pontefice, che abbia fatto così segnalata, e miracolosa Azione.

Questa si può meritatamente annoverare tra quelle di Josuè, di Abraham, di Noè, di Mosè, e d'altri importanti, e miracolosi successi, che si raccontano nella Scrittura Sacra. Ma che?

Tanto più questo favore si renderà a Voi ammirabile, quanto considererete che il Fatto, ed il Miracolo di questo Glorioso Santo è successo, non in Armenia, non in Palestina, non in Egitto, ma in questa vostra Terra, avanti agli occhi dei vostri antichi Padri.

E se rivolti gli animi a più perfetta contemplazione, considererete il Miracolo, non solo lo ritroverete grande, ma grandissimo.

E chi non stupirà, contemplando quell'invitto ardire, quella inalterabile costanza, quella indubitata fede in Dio di Papa Leone? La quale meritò tanto presso la Maestà Divina, che scese dal Cielo gli Angioli, mentre stette ad ascoltarlo Attila, stettero anch'essi sopra la testa del Santo Padre, colle Spade taglienti, e nude in mano, minacciando la morte a quel perverso Re, se non ubbidiva alli comandamenti di San Leone.

Felice Pastore, cui fu conceduto aver gli Angioli di Dio con l'Armi in mano, per difesa del suo Gregge.

Felice sopra ogni altro per certo, poiché a lui solo fu conceduto, senz'aiuto d'Armi terrene, né favore de' Letterati mortali, né intercessione de' Grandi, di liberare, e di assicurare il suo Popolo dalle mani di così barbaro, e potente Nemico.

Questi, questi, o Governolo, sono di quei simulacri, che ci fanno conoscere la grandezza, la bontà, e la misericordia di Dio.

Questi, questi sono gli esempi che ci tirano ad essere timorati di Dio

Queste sono quelle azioni, che ci hanno ad indurre a procurare la Grazia di sua Divina Maestà per poter avere nelle occasioni l'Armi de' Spiriti Celesti in nostra difesa, una delle quali vale più che cento mila di Persone terrene; e che ciò sia il vero, vedilo ora, che due solo, in favore del buon Leone, atterrano, avviliscono, e mandano in esilio più di duecento mila di Attila.

O Governolo, se tu miri quante Città furono distrutte: se consideri quanti Soldati furono tagliati a pezzi, e se rammenti quante Abitazioni incenerite, quante Donne violate, quanti Cuori trafitti, e quante Alme disperse, per non esservi tra tutti questi uno, che meritasse d'aver una Spada Celeste, ovvero un Angiolo di Dio, in suo favore; al sicuro ti risolverai di vivere con Dio, di servire a Dio, di ubbidire a Dio, e coll'intercessione di San Leone, chiedere a Dio misericordia de' tuoi peccati, de' tuoi errori, e delle tute colpe.

E gradirai insieme la buona volontà, e il buon amore di chi così prezioso Tesoro ti dona, e così buona occasione di far bene ti porge, e di chi finalmente ha speso non poche fatiche, ed Oro, per arrecarti onore, e cibo spirituale

E piaccia al Sommo Iddio, immenso, eterno, ed immortale, proteggere tutte le tue azioni, líberandoti, per l'intercessione di San Leone Primo, da qualunque timore, e da qualunque afflizione, discacciando lontano da tutte le tue Abitazioni ogni sorte d'avversità, e di prosperare insieme la Serenissima Casa Gonzaga, conservando i suoi Sudditi in Santa Pace, sicché tutti unicamente con allegrezza di Cuore, e consolazioni di mente, possiate ad alta voce cantare: Gloria in excelsis Deo, Gloria in excelsis Deo ».[7]


[1] Donesmondi, Dell'historia ecclesiastica di Mantova (1612-16), pag. 506.
[2] Il libro fu stampato prima nel 1614 dai fratelli Osanna, poi ristampato (con aggiunta di alcune annotazioni per ordine dei reggenti e uomini della comunità di Governolo) nella stamperia di Alberto Pazzoni di S. Benedetto Po nel 1727 con il titolo: « Breve descrizione della vita di S. Leone Primo, Pontefice Ottimo Massimo e di Attila flagello di Dio ». L'ottima e particolareggiata descrizione della prima solenne processione si trova da pag. 30 a pag. 37.
[3] TONELLI,  op. cit., vol. IV pag. 66.
[4] BERTAZZOLO, « Vita di S. Leone ... », pag. 30
[5] Bertazzolo « Vita di S. Leone ... », pagg. 31-32.
[6] BERTAZZOLO « Vita di S. Leone ... », pagg. 32-33.
[7] Tratto dal Bertazzolo, op. cit. “Vita di S. Leone…”, pagg.34-37. Cfr C. Gobbetti "Governolo: un viaggio nella storia"  p. 169 - 172
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