I Catari

( di Vittorio Sabbadini)

NASCITA DELL'INQUISIZIONE


Il papa Lucio III ( Ubaldo Allucingoli, 6 settembre 1181- 25 settembre 1185) nel Concilio di Verona dell'anno 1184, presente l'imperatore Federico Barbarossa, condannò gli eretici, che erano molto numerosi nel veronese e, in generale, nell'Italia del Nord. In questo Concilio" si stabilirono le prime linee della inquisizione sulla "eretica pravità". Decretò che qualsiasi persona si esprimesse o anche pensasse in modo contrario alla dottrina cattolica, sarebbe stata scomunicata dalla Chiesa e debitamente punita dalle autorità secolari. I vescovi avevano ordine di cercare, dal latino " inquirere", gli eretici. Fu l'inizio di quella che venne chiamata Inquisizione episcopale, cioè posta sotto l'autorità dei vescovi cattolici. Ma i vescovi non erano troppo zelanti nello scoprire i dissidenti. Quindi successivamente diversi papi inviarono legati pontifici che, con l'aiuto di monaci cistercensi, furono autorizzati ad effettuare proprie indagini nell'ambito dell'eresia. Così per qualche tempo ci furono due Inquisizioni parallele, dette Inquisizione episcopale ( del Vescovo) e Inquisizione dei legati ( ambasciatori del Papa), quest'ultima più severa della prima. Per papa Innocenzo III non fu sufficiente neppure questa Inquisizione più rigorosa. Nel 1209 indisse una crociata contro gli eretici della Francia meridionale. Si trattava dei Catari e dato che erano particolarmente numerosi nella città di Albi, la crociata fu detta degli Albigesi. La " guerra santa" contro gli Albigesi finì nel 1229. Le cronache parlano di distruzioni, massacri, roghi e più di cinquecentomila morti. Una delle più fiorenti civiltà dell'Occidente cristiano fu completamente distrutta. Le armate del Nord della Francia, sotto la guida del re Luigi IX, conquistarono le fiorenti e ricche campagne del Sud ed estesero fino al Mediterraneo il regno di Francia. Il papa Gregorio IX (Ugolino Conti, 21 marzo 1227- 22 agosto 1241) dette nuovo impulso all'Inquisizione. Stabilì che in ogni parrocchia ci fossero degli inquisitori permanenti, incluso un sacerdote. Nel 1231 emise una legge in virtù della quale gli eretici impenitenti sarebbero stati condannati al rogo e i penitenti al carcere perpetuo. Nel 1233, Gregorio IX, esonerò i vescovi dalla responsabilità di cercare gli eretici. Il papa istituì l'inquisizione monastica. " E' nel 1233 che nasce l'Inquisizione domenicana, che ebbe la sua sede principale a Bologna". Gli Inquisitori quindi erano scelti tra i nuovi Ordini monastici dei Domenicani e dei Francescani. Infatti, dopo la guerra contro gli Albigesi, il papa Innocenzo III e San Domenico, erano consapevoli che, nonostante le stragi degli eretici albigesi, ne sarebbero rimasti sempre un gran numero e che probabilmente sarebbero nate nuove eresie. Pertanto doveva esserci un tribunale formato da gente unicamente dedita alla ricerca degli eretici e che dovevano avere il solo fine di procurare loro la punizione. Bisognava che fossero alle dirette dipendenze della Curia romana, soprattutto gente che ben conoscesse la legge e che facesse solo il mestiere di inquisitore. Dovevano perquisire gli eretici, non dovevano avere nessuna parentela o relazione o legame con nessuno al fine di non avere alcun riguardo per nessuno. Dovevano essere duri, spietati, inflessibili, senza compassione e pietà perchè bisognava istituire un tribunale così rigoroso e severo come mai si era sentito parlare. Dovevano essere zelanti per la religione e interessati enormemente alla rovina degli eretici. Secondo Innocenzo III i vescovi e i loro ufficiali non erano molto solleciti contro gli eretici. Ecco perchè si rivolse all'ordine di San Domenico e di San Francesco, da poco istituiti, per queste qualità: avevano per la Curia romana un sommo rispetto, erano amanti della solitudine e vivevano ritirati dal mondo. La povertà dei loro abiti, dei loro monasteri, soprattutto la mendicità e la umiliazione pubblica alla quale erano obbligati, la rinuncia generale che facevano alla loro famiglia, l'austerità della Regola, l'istruzione nella Scolastica e nella conoscenza del nuovo Diritto Canonico, dava loro la competenza per assumere la carica di Inquisitore. Avevano in più un interesse particolare alla rovina degli eretici, predicavano senza posa contro di loro, non risparmiavano nulla per screditarli nella considerazione della gente. All'inizio gli inquisitori lavorarono per convertire gli eretici, attraverso la predicazione e l'insegnamento, a esortare i Principi e i Magistrati a 'punire con il supplizio coloro che si ostinavano nel loro errore, a informarsi del numero e della qualità degli eretici, dello zelo dei Principi e dei Magistrati cattolici nel perseguirli, della cura e diligenza dei vescovi, e dei loro ufficiali a fare le perquisizioni. Essi inviavano queste informazioni a Roma direttamente al giudizio del Papa. E' da queste informazioni, da queste ricerche che il nome di inquisitore ha preso la sua origine. Poi si aumentò la loro autorità accordando il potere di dare l'indulgenza, di bandire e comandare delle crociate, di infervorare il popolo e i Principi per condurli all'estirpazione degli eretici. Si agì in questo modo per circa 50 anni, fin verso il 1250. Nel 1244 Federico II aumentò di molto la loro autorità con quattro Editti emanati a Pavia. Teneva direttamente sotto la sua protezione gli inquisitori, attribuiva agli ecclesiastici la conoscenza del crimine d'eresia, lasciando ai giudici secolari l'incarico di fare il processo agli eretici, dopo che erano stati giudicati eretici dagli ecclesiastici. Ordinavano la pena del fuoco per gli eretici ostinati e la prigione a vita per quelli che si pentivano. Le leggi di Federico II ( Roma 1220, Catania 1224, Cremona 1232) così favorevoli agli inquisitori e così contraria agli eretici, fu di pochissimo effeto per parecchi anni. Innocenzo III fu tutore di Federico II, poi Onorio III, poi Gregorio IX che lo scomunicò e fece sollevare contro di lui tutta la Lombardia e una parte della Germania e bandì una crociata come si sarebbe potuto fare contro un Principe infedele o eretico. Ma Federico vinse i suoi nemici. Gregorio IX morì, Celestino IV visse così poco che non ebbe tempo di riprendere la contesa. Il soglio di Pietro restò vacante per due anni, poi fu eletto il cardinale Sinibaldo col nome di Innocenzo IV. La lotta riprese, nessuno dei due, Papato e Impero, erano disponibili a cedere una parte della loro autorità. Il papa si ritirò, pressato dalla potenza di Federico II, a Lione, e convocò un Concilio per trattare la scomunica e la deposizione dell'imperatore. Federico cercò l'accordo, avrebbe fatto la promessa crociata in Terrasanta, ma fu scomunicato lo stesso. Una parte della Germania si sollevò, con a capo Enrico Landgravio di Turingia. Ma Corrado, figlio di Federico II, lo sconfisse e uccise. Il successore Guglielmo d'Olanda fu incessantemente combattuto da Corrado, ma la morte di Federico II, nel 1250, fece abbandonare a Corrado la Germania, per tornare nel regno di Napoli e di Sicilia. Alla sua morte seguì un interregno di circa 20 anni. Seguirono delle sanguinose guerre civili. Intanto che il papa e l'imperatore si facevano la guerra, gli eretici ne approfittarono. I progressi che fecero in poco tempo, sorpresero il papa Innocenzo IV, che era il più interessato di tutti al problema. Istituì allora, riprendendo il disegno dell'inquisizione, un tribunale perpetuo e indipendente, per combattere unicamente il crimine d'eresia.
Durante l'interregno il papa pretese tutti i diritti che aveva l'imperatore, la cui mancanza lo metteva in grado di agire in Lombardia, era l'arbitro assoluto di tutti gli affari d'Italia. Innocenzo IV era molto abile e approfittò di una simile situazione. I domenicani e i francescani si rivelarono servizievoli, coraggiosi. Ma i vescovi si opposero all'inquisizione perchè la cattura degli eretici apparteneva loro di diritto, solamente loro erano i giudici degli eretici, non potevano esserlo dei monaci di fresca nascita, che non possedevano la loro autorità nè i mezzi di farla valere; facevano presente che era stato loro fatto torto quando i monaci erano stati sottratti alla loro giurisdizione, alla quale tutti i Canoni della Chiesa li sottometteva, senza renderli giudici del loro gregge, inoltre non avevano intenzione di consentire l'istituzione di questo tipo di tribunale, ricordando che il rispetto per la Santa Sede era grande ma non inferiore al rispetto che spettava anche al vescovo, dato che il principale interesse del papa doveva consistere nella stretta unione con gli altri vescovi. L'altro ostacolo era che l'inquisizione, così come era stata progettata, si scontrava con l'autorità dei giudici laici, incaricati di fare il processo agli eretici, autorità che era stata loro confermata dalle ultime Ordinanze di Federico II.
L'imperatore aveva aumentato il potere degli inquisitori, ma aveva ordinato che i Magistrati procedessero alla condanna e all'esecuzione degli eretici, sulla base del rapporto degli inquisitori. I Principi dovevano mantenere ai loro Magistrati l'autorità conferita loro dall'imperatore e non potevano accettare che l'autorità sovrana di dare la vita o la morte passasse agli inquisitori. Il Papa trovò due espedienti. I vescovi saranno giudici degli eretici congiuntamente con gli inquisitori, e il processo sarebbe stato nullo senza la loro partecipazione; i vescovi potevano assistere al giudizio tutte le volte che lo avessero voluto, ma l'autorità sarebbe stata tutta nelle mani degli inquisitori. I vescovi si contentassero del nome di giudici. In seguito i vescovi abbandonarono la giurisdizione agli inquisitori così che poterono agire in tutta libertà, con dipendenza assoluta dalla Curia di Roma. I Principi e i Magistrati da cui dipendevano non si opposero al papa, che era il padrone assoluto dell'Italia. Si lasciò ai Magistrati il diritto di scegliere gli Ufficiali subalterni degli inquisitori, che dovevano servirsi soltanto di loro, potevano dare un giudice aggiunto agli inquisitori, quando andavano a fare visita nei luoghi della giurisdizione dei Magistrati, e potevano attribuire alle finanze pubbliche un terzo delle confische dei condannati. Altra difficoltà era di trovare i mezzi per sopperire alle spese degli inquisitori e degli Ufficiali subalterni, alla guardia della prigione, agli alimenti dei prigionieri, all'esecuzione delle sentenze e a tutto ciò che era necessario all'onore dell'inquisizione, per servire ai fini che si erano proposti e ai risultati che si intendeva raggiungere. Le comunità dovevano sopperire agli inquisitori e pagare a costoro tutte le spese, in cambio si sarebbe loro lasciata una parte delle ammende e delle confische. I Domenicani furono inviati nelle province per applicare i nuovi statuti e per dare l'incarico agli inquisitori nella Lombardia, in Romagna e nella Marca di Ancona. Gli statuti furono accolti passivamente. Il papa approfittò di questa congiuntura e indirizzò una bolla ai Magistrati, ai Rettori e alle Comunità delle città dove l'inquisizione era stata istituita. La Bolla si componeva di 31 Capitoli che erano dei regolamenti per il funzionamento dell'inquisizione. Il papa ci aggiungeva due ordini: Senza alcun indugio i Regolamenti sarebbero stati registrati in tutte le cancellerie pubbliche, per essere osservati, ci potevano essere delle opposizioni, ma solo il papa ne avrebbe giudicato la validità; inoltre dava il potere agli inquisitori d'interdire i luoghi e di scomunicare le persone che si rifiutavano di conformarsi a questi Regolamenti. Il papa aveva molta autorità ma solamente in quelle tre province, perchè non avevano un sovrano all'infuori di lui, o che essendo dei feudi dell'impero, l'interregno gli faceva prendere il posto del feudatario e le città di quelle province erano indipendenti le une dalle altre e si governavano con leggi particolari ed erano talmente deboli da non poter resistere alla potenza del papa d'allora. Il papa successore Alessandro IV ( 1259) sette anni dopo, fu obbligato a rivedere la Bolla. Sei anni dopo Clemente IV anch'egli dovette rinnovare ( 1265).
Le opposizioni erano fondate sulla eccessiva severità degli inquisitori che era insopportabile Le lagnanze erano accompagnate da una dichiarazione precisa delle città e delle comunità di non voler più pagare le spese per il mantenimento dell'inquisizione, dei suoi Ufficiali e per altre spese senza le quali questo tribunale non poteva essere mantenuto. Erano proteste fondate sull'impotenza di fornire parecchie contribuzioni e si aggiungevano a ciò le spese che le Comunità erano state obbligate a sostenere per le lotte della Santa Sede contro gli imperatori. Queste guerre avevano esaurito il tesoro pubblico e per mantenere i nuovi venuti erano necessarie nuove tasse, e c'era il rischio di far rivoltare le genti contro gli inquisitori, o forse anche contro i loro Magistrati. I papi intervennero dichiarando che in avvenire i luoghi dove l'inquisizione sarebbe stata ricevuta, non avrebbero più dovuto sopperire al sostentamento e le esazioni degli inquisitori sarebbero cessate. Fu dato ai vescovi un po' più di potere nelle procedure dell'inquisizione. La curia romana ebbe due vantaggi da questa condiscendenza e cioè gli inquisitori non dipendendo più dal popolo per la loro sussistenza, furono più amati e inoltre l'inquisizione fu accolta in Lombardia senza opposizione e così pure nella Romagna, nella Marca d'Ancona, in Toscana, nello Stato di Genova e generalmente in tutta Italia, tranne il regno di Napoli e lo Stato di Venezia. Il regno di Napoli dipendeva dal re di Spagna e l'inquisizione spagnola pure. Qualche volta gli inquisitori romani sono stati inviati a Napoli per giudicare del crimine d'eresia, ma sono casi rari, questi commissari non potevano fare alcuna procedura senza aver ottenuto il permesso del Vicerè. L'inquisizione in Germania non si stabilì, perchè la gente si oppose con una fermezza che obbligò la curia ad abbandonare l'impresa.

LA CRUDELTA'
La società medievale aveva un rapporto quasi giornaliero con atti di crudeltà e ferocia. La gente andava numerosa ad assistere in piazza allo "spettacolo" di una o più escuzioni a morte. Più le esecuzioni erano efferate, più era indice, per il signore feudale, di potenza e autorità, sia che fosse laico o ecclesiatico, Imperatore o Papa. Vogliamo riportare alcune cronache del XIII secolo per mostrare quanto nella mentalità di quel tempo l'idea di tortura, carcere, condanna a morte tramite supplizio di un condannato, fosse legata, appunto, al modo di far intendere ai sudditi, i concetti di autorità, potenza, terrore, ubbidienza. Un personaggio "crudele" fu Ezzelino da Romano, signore della Marca trevigiana. Seguiamo le cronache per farci un'idea della crudeltà del tempo, non dissimile dai recenti campi di concentramento.
"Nel mese di luglio dell'anno 1252 a Padova, per far piacere ad Ezzelino, furono escogitati diversi generi di tormenti in modo da aggiungere dolore al dolore. I poveretti, dopo lungo carcere, se non morivano, erano portati nella piazza della città e lì crudelmente detroncati. I figli dei nobili e dei magnati venivano prima accecati e poi messi in carcere, indi venivano loro tagliati i genitali".
"Nel carcere di Cittadella di Padova le pene erano intollerabili, e furono raccontate da chi miracolosamente scampò. Quivi pianti e stridor di denti, quivi dolore e ululati, qui continue tenebre, vermi, fetore e angustie, sete e fame, freddo, gemiti e sospiri inauditi; alcuni morivano di fame e altri di sete, altri ancora mangiavano parti del corpo essiccato del familiare o dell'amico".
"A Verona, nel 1253, fu fatta in un sol giorno una orribile strage. Furono uccisi nella piazza parecchi nobili, alcuni corpi furono trainati per la città e crudelmente squartati, altri corpi furono trasportati a Padova e in piazza furono tagliati a pezzi e poi bruciati. Sempre nello stesso anno a Verona molti prigionieri furono decapitati, altri lacerati, trascinati per terra, altri bruciati, accecati, castrati. Anche a Padova il 17 settembre 1253 molti milites, borghesi e popolani furono crudelmente lacerati con la frusta, fatti a pezzi e poi bruciati".
"Nel 1255 per molte contrade di Padova molti fanciulli furono accecati e dopo quindici giorni vennero castrati in carcere e furono in numero di trentacinque
La dottrina catara intendeva il dolore come sofferenza, martirio, violenza contro la vita fisica, era ciò che dava valore e significato alla morte, il dolore era mezzo di redenzione, strumento di salvezza, "lo scopo della vita doveva essere la continua preparazione alla morte, che non era temuta nè odiata dal cataro, ma ardentemente desiderata , come il termine del doloroso pellegrinaggio". Improvvisamente, sorse un altro movimento religioso, che trovava nel darsi dolore un senso di espiazione e quindi di purezza, i Flagellanti.
"Il 30 novembre 1260, Asquino, decano di Aquileia, venne a Cividale ( del Friuli) con dei penitenti nudi che si sferzavano, e gli abitanti, circa 500, cominciarono pure a verberarsi, e così fu per tutto il Friuli, nei castelli, nei paesi e fu fatto per venti giorni. L'inizio della flagellazione ha avuto inizio a Perugia. E tanto di giorno quanto di notte, sia dentro le chiese che fuori, velati il capo e la persona per non essere riconosciuti, scoperti il dorso e le spalle fino alla cintola, si flagellavano a sangue, gemendo, e avanzavano pregando il Signore. Le donne sposate si riunivano nelle chiese, la sera, e facevano lo stesso, e alcune si flagellavano di nascosto in casa propria."uivi dolore e ululati, qui qu Sarebbe interessante capire dalla scienza psichiatrica questo fenomeno di pazzia collettiva e contagiosa che percorse l'Italia del nord.
Presentiamo ora alcuni documenti relativi alla tortura inflitta dall'Inquisizione nelle carceri, agli eretici catturati. Si trattava di un manuale ad uso degli Inquisitori, che potevano scegliere vari tipi di tortura per il condannato, e poichè alla seduta assisteva un segretario, aveva già la traccia per fare il verbale:
"Modo di battere con la bacchetta i fanciulli, che però trapassino il nono anno della loro età."
Allora i Signori, visto ecc., per ottenere la verità dal Costituto, non potendosi da lui aver in altro modo e d'altronde non essendo assolutamente in grado il Costituto, per la sua giovane età, di sopportare il torcimento di membra, decretarono che fosse battuto con la bacchetta... Pertanto ordinarono che il Costituto fosse condotto nel luogo dei tormenti, lì fosse spogliato e gli fossero
legate le mani alla corda davanti al viso, per essere colpito con la bacchetta. Vi fu condotto e
spogliato.. fu più volte benevolmente ammonito dai Signori a dire la verità... Allora i Signori, poichè il Costituto persisteva nella sua ostinazione, ordinarono che fosse picchiato con la bacchetta dall'inserviente. Essendo colpito, incominciò a gridare:" Ohimè" ecc. Interrogato ecc., rispose ecc. E più volte ammonito ecc., rispose ecc. Allora i Signori, poichè il Costituto, dopo tante e tante battute, non voleva dir nulla e poichè non si poteva ottenere da lui niente altro, ordinarono che fosse sciolto, rivestito e condotto alla sua cella, dopo che era stato così, nel tormento, per la durata di ecc."
" Modo di dare il tormento del fuoco"
Allora i Signori, visto ecc., poichè il Costituto non poteva essere sottoposto al tormento della fune, per il fatto che chiaramente era privo di un braccio, o aveva un braccio rotto ecc., decretarono che fosse sottoposto al tormento del fuoco; facendo istanza in tal senso ecc.
E pertanto ordinarono che lì il Costituto fosse condotto al luogo dei tormenti e sottoposto alla tortura del fuoco e da esso tormentato.
Condotto dunque alla tortura del fuoco, più volte fu ammonito dai Signori, con benignità, di dire liberamente la verità: senza aspettare di essere afflitto da quel tormento già detto! Rispose ecc. Allora i Signori, vedendo che quello non voleva dire la verità, ordinarono che fosse sottoposto al tormento del fuoco. Allora, sottoposto al tormento, egli, con i piedi nudi spalmati di lardo di maiale e tenuti fermi in ceppi vicino a un bel fuocherello ardente, dopo esserci stato per lo spazio di tempo ecc., all'inizio restò zitto sotto quella tortura, poi cominciò a gridare ad alta voce: "Ohimè" ecc. E vedendo che sentiva un gran male, i Signori ordinarono che fosse messa una tavola davanti ai piedi del Costituto, con l'intenzione ecc. La tavola fu messa. Il Costituto fu interrogato dai Signori. Chiestogli di dire la verità circa ecc., rispose ecc. La tavola fu tolta. Il Costituto allora incominciò a gridare a gran voce dicendo ecc. Allora i Signori ordinarono che fosse di nuovo messa la tavola davanti ai piedi, con l'intenzione però ecc. Allora i Signori vedendo che persisteva nella negativa e non voleva dire altro, ordinarono che fosse tolto da quel tormento e ricondotto alla sua cella, dopo che era stato sottoposto a tortura..
"Modo di dare il tormento della stanghetta"
...E pertanto i Signori ordinarono che fosse condotto al luogo della tortura.. e fatto prostrare a terra, gli si denudò il tallone del piede destro e lo si strinse tra due tasselli di ferro concavi. Quando l'inserviente li compresse con la stanghetta, il Costituto cominciò a gridare ecc.... Interrogato se abbia bestemmiato ecc.. E poi, non confessando il reo, si terminerà l'esamina in questo modo: E dopo essere stato sotto questo tormento per la durata di ecc., i Signori ordinarono che il Costituto fosse liberato e rimandato alla sua cella."
LEGGI CONTRO GLI ERETICI
" Ma nel secolo XIII per le città della Lombardia sommamente crebbe il veleno dei Patarini o sieno Manichei, di modo che contra d'essi il vescovo di Ferrara implorò il braccio di Ottone IV Augusto. Il suo decreto... fu esso fatto in Ferrara il 25 marzo 1210 dove egli sottopone al bando imperiale " tutti gli eretici dimoranti in Ferrara, Patarini o Catari o in qualunque altro nome si chiamino..". In tante altre città i Catari avevano diffuso il loro veleno, a Mantova, Verona, Bergamo, Vicenza ed aveva infettata la terra di Sirmione e questa mala pianta avea stese le radici per la Romagna e s'era particolarmente assodata in Rimini". La legge contro gli eretici promulgata a Roma da Federico II, il 14 marzo 1220, non ebbe pratica applicazione. "Federico II ( con questa legge ) comandò che gli eretici fossero banditi da ogni città e paese e condannati ad " infamia perpetua". La legge imperiale fu obbedita anche dai Comuni, onde dagli Statuti bresciani, al libro II, rubrica IX, venne prescritto di " espellere i Catari e tutti gli altri eretici "; ed in Pisa si elessero " ufficiali incaricati di inquisire gli eretici ", e furono stabilite pene gravissime che dovevano a questi applicarsi. E' quindi probabile che si fosse operato ugualmente anche a Mantova perchè allora qui pure c'erano eretici." Onorio III, ( Cencio Savelli, papa dal 24 luglio 1216 al 18 marzo 1226) succeduto ad Innocenzo III, ( Lotario Conti, papa dal 22 febbraio 1198 al 16 luglio 1216) preparava la quinta crociata. Federico II si era impegnato a parteciparvi, e in cambio venne nominato imperatore. Avrebbe dovuto pacificare la Lombardia e il Veneto, regioni infestate dagli eretici. Il papa mandò in queste regioni San Domenico e il cardinale Ugolino Conti che il 21 marzo 1227 sarà eletto papa con il nome di Gregorio IX. Dal 18 al 21 luglio dell'anno 1221 il cardinale Ugolino fu a Mantova. Il podestà era Salinguerra Torelli di Ferrara, ghibellino e nemico degli Estensi.
Il 21 luglio il podestà ordinò a tutti gli eretici di uscire dalla città di Mantova entro otto giorni. Secondo la legge ci si poteva impadronire poi dei loro beni e distruggere le case. Ma il bando si rivelò inutile in quanto il 3 settembre veniva ripetuto con multa di cento lire imperiali per i trasgressori. Le leggi contro gli eretici fallirono perchè i ghibellini erano tiepidi verso gli eretici, prima di tutti lo stesso imperatore Federico II. Ai mantovani inoltre non piaceva un'alleanza tra papa e imperatore in quanto erano molto gelosi della loro autonomia. Mantova stava vivendo un periodo di sviluppo economico e sociale; si stava consolidando un nuovo ceto di lavoratori e di artigiani che con simpatia guardava agli eretici.
GUIDOTTO DA CORREGGIO VESCOVO DI MANTOVA
Nell'anno 1231 venne nominato vescovo di Mantova Guidotto da Correggio, canonico di Bologna, e nello stesso anno il papa Gregorio IX emanò gli Statuti della Santa Sede contro gli eretici. Imponeva ai vescovi di inserirli nelle leggi comunali. Cominciò la caccia agli eretici nel mantovano. Guidotto si farà aiutare dai domenicani di Bologna nella persona di Moneta da Cremona. Questi "dopo aver studiato all'università di Bologna, entrò nell'ordine dei Predicatori nel giorno di Santo Stefano dell'anno 1218. Nel suo letto aveva dormito San Domenico quando morì a Bologna il 6 agosto 1221. Fu coadiutore di Rolando da Cremona nella fondazione del convento cremonese nell'anno 1228. Rolando fu a Parigi dal 1228 fin sul finire del 1230. Nel 1231 era a Tolosa a predicare. " Un giorno questo nostro fratello, predicando, disse nel suo sermone, che gli eretici vivevano in città, facevano i loro concili e seminavano l'eresia. Udendo ciò, i cittadini furono molto turbati e scossi. Allora i consoli della città chiamarono il priore in municipio riferendogli ciò che aveva detto il frate e ordinarono che non predicasse più quelle cose o avrebbe avuto grandi mali, se avesse detto che gli eretici abitavano nella loro città, in quanto era certo che nessun cittadino era eretico. I frati furono così minacciati. Allora Maestro Rolando avendo udito ciò dal priore, disse : " Allora è necessario che noi più e più predichiamo contro gli eretici e i loro credenti". E così fece. Tempo prima era morto nel borgo un tal Giovanni Pietro Donato di San Saturnino, canonico, sepolto nel chiostro, che prima era stato eretico, senza che i canonici lo sapessero. Udì ciò Maestro Rolando e venne colà con i frati e i chierici. Lo fecero tirar fuori dalla tomba e fu poi bruciato. Nello stesso tempo morì nel borgo un certo eretico di nome Galvano Magno, archimandrita dei Valdesi. Ciò non fu nascosto al maestro Rolando, che lo riferì pubblicamente nel sermone. E convocati i frati, il clero e qualche popolano, andarono alla casa dove l'eretico era morto e la distrussero dalle fondamenta e fecero di quel luogo un letamaio; poi disseppellirono il detto Galvano dal cimitero di Villanova, dove era stato sepolto, e trassero il suo corpo per la città con grande processione, e lo bruciarono in un luogo fuori della città. Ciò a lode di Nostro Signore Gesù Cristo fu fatto e in onore della chiesa cattolica romana, nostra madre. Era l'anno 1231".
Nell'anno 1233 giunsero a Mantova i frati Predicatori da Bologna con frate Moneta. Agli stessi fu concessa la chiesa di Santa Lucia, il giorno di domenica 31 luglio, su richiesta di frate Moneta priore dei frati Predicatori. Circa l'anno 1241 era intento a comporre "Adversus Catharos et Valdenses" ( Contro i Catari e i Valdesi). Sempre nell'anno 1233 Moneta è teste, presso la cappella del Comune di Mantova, nella nomina di Pietro a rettore del monastero di Santa Maria del Gradaro. Poi il 18 novembre 1240 è ancora teste e così pure l'11 febbraio 1241 e il 16 maggio 1242 ," in praesentia fratris Monetae de Cremona O. P.". Ma qualche anno prima, il 6 luglio 1231, è presente a Mantova nel vescovado, come teste, frate Bonaventura dell'Ordine dei Predicatori, al processo contro l'imputato di eresia, Uberto di Solferino; inoltre il 9 dicembre 1231 frate Rodolfo Confalonieri da Medole, dei padri predicatori, confuta nelle mani di Guidotto, vescovo di Mantova, un feudo vescovile e il 27 agosto e il 6 settembre 1232, magistro Jacobo de Placentia dell'Ordine dei Minori, figura come teste presso il vescovado di Mantova. La presenza a Mantova degli Ordini Mendicanti c'è dunque dal 1231 e scoprono subito degli eretici, ma le sentenze sono miti. Istituiscono quasi subito, data la presenza di un cacciatore di Catari nella persona di Zaffardo degli Adelardi, ( Cfr. docc. in appendice) un'organizzazione di inquisizione vescovile. Quando Moneta arriva a Mantova, la macchina inquisitoriale è già ben avviata.
ERETICI A MANTOVA NEL SECOLO XIII
Uberto di Solferino
Il giorno 6 luglio 1231, alla presenza del signor Giovanni di Gonzaga, preposito mantovano, di mastro Bernardo parmense, del signor Filippo di Saviola, canonico mantovano, del signor Ugone, cappellano del vescovo Guidotto, per grazia di Dio, eletto di Mantova, di frate Bonaventura dell'Ordine dei Predicatori e di altri. Nel palazzo del Vescovado di Mantova. Quivi Uberto del fu Gualtirolo di Solferino, alla presenza del vescovo, essendo infamato di eresia, giurò di stare ai mandati della Chiesa e di osservarne tutti i precetti e specialmente di non uscire dalla città e diocesi di Mantova. Se qualche volta sarà trovato colpevole o sospettato di aver agito contro la fede o articoli di fede, giurò di stare alla volontà del vescovo e pagare la pena che avrà voluto da lui esigere.
Nello stesso giorno e palazzo, alla presenza del signor Ugone, cappellano del vescovo, del giudice Bonamente, del notaio Zanino de Persellanis e di altri testi. Il vescovo ordinò ad Uberto, sotto giuramento, che tutte le volte che gli sarà chiesto dal vescovo o dai suoi nunzi per il fatto di eresia di cui era stato infamato, si presenterà a lui per rispettare del tutto i suoi precetti. Il vescovo inoltre ordinò ad Uberto che d'ora in poi osservi e debba osservare la fede cattolica che segue la Chiesa romana e che non abbia nessun rapporto o amicizia con gli eretici e che non darà od offrirà loro nè consiglio o aiuto tramite sè o altri sia in pubblico che in privato, e se contro questi ordini sarà stato trovato ad agire, dovrà pagare una pena di 200 soldi di Mantova, che promise di consegnare al vescovo insieme con il pegno dei suoi beni. E promise al vescovo, per contratto, di prestare attenzione ed osservare tutti questi mandati; come fideiussori di questa promessa, si presentarono Bellebono, che abita a Portanova, il notaio Milleto, che abita in contrada San Giacomo, e Bonaventurino de Adelardi, promettendo al vescovo, per contratto, di aver cura che Uberto osservi tutti i mandati e se non li osserverà e rispetterà, promisero di pagare la pena al vescovo, così che l'uno e l'altro siano tenuti in solido a pagare per le cose suddette e specialmente la pena.
Donna Bona di Dalmazia
Il giorno 23 gennaio 1232, nel vescovado di Mantova, alla presenza di Ugone, cappellano del vescovo, di Guglielmo Visdomini, di Alberto Flacazovi, testi. Quivi il signor Giacomino di Boccamaggiore promise al signor Guidotto, per grazia di Dio vescovo di Mantova, di consegnargli entro il terzo giorno dalla richiesta, donna Bona, che fu di Dalmazia, ed è infamata di eresia e si trovava a Mantova ammalata, sotto pena di 500 lire di Mantova. L'eretica era stata catturata da Zaffardo de Adelardi, cacciatore di Catari. Il quale, in quello stesso giorno, alla presenza di Alioto de Olivis e Giacomo de Sighizis e di suo figlio Venerio, consegnò a Giacomino l'eretica. La donna si trovava nella torre dei signori Adelardi e di essa si fece la consegna.
Presbitero Alberto di San Michele di Campitello
Il giorno 11 ottobre 1232, alla presenza dei signori, presbitero Jacobo e Filippo di Saviola, canonici mantovani, Maestro Girardo e altri testi. Nel palazzo del vescovado di Mantova. Quivi il presbitero Alberto, della chiesa di San Michele di Campitello, giurò di stare ai mandati di Guidotto, per grazia di Dio vescovo di Mantova, e di ubbidirgli, soprattutto perchè fu presente alla sepoltura di un tal signor Alberto di Belforte, che fu usuraio e difensore e fautore di eretici e che non era del vescovado di Mantova, come il suddetto signor vescovo asseriva. Poi il signor vescovo ordinò al presbitero Al(berto), sotto il vincolo del giuramento, che entro otto giorni gli presenterà due fideiussori.
Il giorno 16 ottobre 1232, alla presenza dei signori, presbitero Jacobo, canonico mantovano, presbitero Girardo, presbitero de Arzagho, Giovanni Bono notaio de Righizo e altri testi. Nel palazzo del vescovado di Mantova. Quivi avendo il presbitero Alberto della chiesa di San Michele di Campitello, giurato di stare ai mandati del signor Guidotto, per grazia di Dio vescovo di Mantova, e di ubbidirgli soprattutto perchè era intervenuto alla sepoltura di un tal signor Alberto di Belforte, che fu usuraio e difensore e fautore di eretici e che non era del vescovado di Mantova come asseriva il signor vescovo, e che per ciò era tenuto a dargli due buoni fideiussori nei termini che gli erano stati fissati, come appare in un pubblico strumento compilato dal sottoscritto notaio. Oddolino campsore e Martino Ravacollo di San Michele rinunciando ad ogni loro diritto e aiuto episcopale del signor Adriano, e a qualsiasi altra cosa, sentendosi obbligati a pagare in solido, promisero al signor vescovo che lo esigeva, che avrebbero agito e avuto cura che il presbitero Alberto avrebbe osservato tutte le cose suddette. Diversamente per sè promisero di stare attenti ( che ciò avvenisse) sotto pena di 25 soldi di Mantova e sotto pena del doppio e di dare con diritto di pegno tutti i loro beni al vescovo, e poi il vescovo predetto ordinò al presbitero Alberto affichè esibisse da qui a 15 giorni, nelle mani del suo camerario, un pegno di 15 soldi di Mantova e se non avesse ubbidito, comandò che pagassero i suoi fideiussori.
Welfo de Pizo
Il giorno 15 dicembre 1232, alla presenza dei signori Compagnono e Corradino de Grossolanis, canonici mantovani, di Pizo e Ugone de Pizo, testi. Nella chiesa di Sant'Andrea di Mantova, il signor Azzo de Buffis, canonico mantovano, in nome del vescovo Guidotto, alla presenza di un notaio e altri testi, denuncia al signor Welfo de Pizo di giurare i mandati della chiesa e del vescovo, dichiarando di essere fautore di eretici e che al signor Mantovano, figlio suo, morto di spada, perchè era fama che fosse fautore di eretici, il vescovo voleva negare la sepoltura ecclesiastica. Perciò il signor Welfo giurò di obbedire ai mandati della chiesa e del vescovo, che non difenderà più, nè favorirà nè ospiterà nelle proprie case gli eretici, nè darà loro consiglio, aiuto o favore sotto pena di 100 lire di Mantova.
PRETI CON DONNE A MANTOVA
Il vescovo Guidotto cercò di porre ordine nelle pievi. Molti erano i preti che avevano una
situazione finanziaria difficile e tenevano delle donne presso di sè. A capo della chiesa di San Celestino di Roncorlando ( Pegognaga ) c'era il presbitero Manfredo coadiuvato dal chierico Girardo. Il 25 maggio 1232 furono convocati nel palazzo del vescovado di Mantova, per essere interrogati sulla situazione patrimoniale e morale della suddetta chiesa. Manfredo illustrò la situazione debitoria e creditizia della chiesa. Poi gli fu chiesto se avesse una moglie o un'amante o se era infamato d'eresia. Rispose che prima di essere chierico aveva una moglie legittima e da lei aveva avuto tre figli tutt'ora viventi, due dei quali sono presso la sua chiesa per servizio e il terzo figlio lavora su alcune terre della chiesa al fitto di un terzo. Toccò poi al chierico Gerardo. Questi disse di essere figlio di un presbitero di nome Rainerio e per tutto il tempo in cui il padre rimase in vita, stette presso la chiesa di Santa Maria della stessa zona; tenne sua madre per trent'anni presso la chiesa, anche le sue amiche e consanguinee, spesso, ma non continuamente. (.. et suas amicas et consanguineas sepe sed non continue). Poi Gerardo raccontò di tenere una donna nella casa di suo padre e da quella ha avuto cinque figli, dei quali quattro sono ancora vivi; il chierico giurò di averla sempre tenuta e mantenuta e che era moglie di un tale di nome Ubertino de Rainerio. Disse che Pietro Cuco, suo cognato, era da due anni che tagliava tutti gli alberi di proprietà della chiesa, del valore di 40 soldi imperiali e più, e crede che questi soldi non siano stati spesi per l'utilità della chiesa. Inoltre Pietro lavorava cinque biolche di terra della chiesa, i prodotti però se li portava a casa e alla chiesa non dava niente.
Il presbitero Mantuano della chiesa di San Damiano di Mantova, fu interrogato l'8 agosto 1232 nel palazzo del vescovado di Mantova, e si affrettò a dire che aveva una donna presso di sè, ma era una consanguinea, che abitava in una sua casa, e pagava l' affitto, e la teneva presso di sè come donna di servizio. Il vescovo non gli crede e gli ordina di dare gli otto giorni a quella donna, ...et dedit ei licentiam usque ad octo dies, ( di licenziarla entro otto giorni).
A capo della pieve di Barbasso c'era l'archipresbitero Martino coadiuvato dai chierici Aliprandino e Ziliano. Dall'indagine, iniziata nel 1232, il 26 agosto, per riformare in meglio la pieve, questa risultò piena di debiti; inoltre Martino ammise che Ziliano era suo figlio, che aveva sistemato presso la pieve di Barbassolo come chierico. Martino raccontò al vescovo che il chierico Ventura di Villimpenta era un simoniaco in quanto gli aveva offerto del denaro per la sua nomina a chierico, denaro che non aveva preso, ma che prese Bellino, che era chierico di quella chiesa. Il vescovo chiese poi se Aliprandino avesse un'amante. Disse che l'aveva e la teneva presso di sè; era la moglie di un tal Peregrino di Roncoferraro e si congiungeva con lei tutte le volte che ne aveva voglia, e di ciò era pubblica fama. (tenet uxorem Peregrini de Roncoferario et comiscetur cum ea quacumque vult). E udì Aliprandino dire che avrebbe abbandonato la pieve piuttosto che lasciare quella sua amante, di nome Adimplebe. (...audivit etiam ab illo Aliprandino dicente prius dimitteret plebem quam illam suam amaxiam...vocatam Adimpleben). Anche Ziliano, chierico, ha qualche giovincella che ha conosciuto carnalmente in zona di Barbasso, e dopo si è rivolto a qualcun'altra che ora è ingravidata, ed è pubblica notizia. (...et est pregnans de ipso sic publica fama est) e pure il chierico Ventura di Villimpenta tiene presso di sè un'amante; entrambi i preti hanno dei figli, e ciò è di pubblico dominio, (..habent et tenent amaxias publice et ex eis habent filios..).
Alla fine dell'inchiesta, il 30 agosto, alla presenza dei testi, signor Mantovano giudice de Gaimario, Alberto Flacazovi e Bellardino, il vescovo Guidotto depose e sospese da ogni ufficio e beneficio l'archipresbitero Martino e Aliprandino e Ziliano chierici della pieve di Barbasso.
L'eresia si alimentava anche a causa di questi comportamenti laici da parte di ecclesiastici, rappresentanti della chiesa cattolica.
Alcune considerazioni
Uberto era figlio di Gualtirolo di Solferino e aveva possedimenti e case a Castel San Pietro e a Miliario, distante appunto un miglio da Castel San Pietro, paesi non più esistenti, allora situati tra Quistello e Revere. Il giorno 28 novembre dell'anno 1217, il padre Gualtirolo faceva parte dei numerosi membri del Consiglio generale del Comune di Mantova. Alla presenza del podestà di Mantova, Bonifacio conte di San Martino, giurò i patti con i quali i mantovani si impegnavano a sostenere, anche con aiuti militari, gli eredi di Azzo d'Este e la loro parte. L' 8 dicembre 1229 il vescovo di Mantova, Pellizario, investe del suo retto feudo il signor Manuel de Grosolanis di due biolche di terra in Castel San Pietro, mentre, fuori dal castello, viene investito di un casamento che per due lati confina con le proprietà di Gualtirolo. Nel 1230 Gualtirolo viene investito del suo retto feudo dal vescovo Pellizario, al quale fa giuramento di fedeltà.
Il figlio Uberto, che aveva come fratello Lanfranchino, il 3 dicembre 1231, viene investito del suo retto feudo dal vescovo Guidotto da Correggio e per conto anche delle sorelle Prata e Ghisilina, che sono però assenti. Egli inoltre era un miles, un militare, "De castro Sancti Petri, Tedoldus Albionus pro vicinis et dominus Ubertus de Sulfrino pro militibus."). Era la classe sociale dei più agiati, insieme con il clero, i giudici, avvocati e procuratori. "Questi milites erano stati i fondatori dei comuni cittadini, sorti e moltiplicatisi intorno all'anno 1100 e ne avevano costituito la classe dirigente nel corso del secolo seguente". Il 12 novembre 1232 il vescovo Guidotto fa una permuta di 15 biolche di terra aratoria e vigneto, con il notaio Alberto Gambarense. Queste terre si trovano distribuite in parecchi luoghi, in territorio di Nuvolato, che un tempo era stato proprietà di Governolo. La proprietà è frazionata in cinque pezze di terra, di cui la seconda giace vicino a Ronco Budelli ( roncare = disboscare) ed ha come confinante da un lato la proprietà del signor Gambarino de Bagnolo. La terza pezza giace a Frassineta ed ha come confinante Zaffardo de Adelardis. E' un cacciatore di Catari , ( vedi doc. ) che ha già catturato l'eretica donna Bona, e Uberto è già stato inquisito per eresia, denunciato forse dal suo nobile compaesano Zaffardo? Il notaio dà in permuta al vescovo 10 biolche di terra giacenti in territorio di Castel San Pietro, divise in cinque pezze. La terza pezza giace in Miliario e da due lati ha come confinante Bonaventurino de Adelardi, che aveva fatto da fideiussore nel processo per eresia ad Uberto. La quarta pezza giace nel detto Miliario e da un lato è confinante con la terra di Uberto de Solferino. Dunque i De Solferino erano grandi proprietari di nobiltà terriera, in buoni rapporti con il Comune e con il vescovo, abitanti a sud di Mantova, ma" infettati di eretica pravità".
Consideriamo il valore della pena pecuniaria a cui saranno o sono stati condannati a pagare gli eretici mantovani, se non rispetteranno i mandati del vescovo.
Uberto di Solferino avrebbe dovuto pagare, non rispettando i mandati della chiesa, 200 soldi di Mantova. Per questo ha due fideiussori. Non li pagherà. Non doveva "uscire da Mantova e dal suo distretto", così l'eresia diventava una questione interna del vescovado mantovano, come una malattia infettiva che qui era nata e qui si doveva risolvere. Il processo lo subisce il 16 luglio 1231 e il 3 dicembre 1231 abbiamo visto che viene investito di un feudo vescovile. L'eretico era rientrato nel seno della Chiesa.
Il presbitero Alberto di San Michele di Campitello doveva pagare entro otto giorni, 15 soldi di Mantova , altrimenti avrebbero dovuto pagarli i suoi due fideiussori. E' una cifra modesta in confronto alle altre. Nel documento, per ben due volte viene verbalizzato che l'eretico Alberto "non era del vescovado di Mantova". A dirlo era il vescovo in persona, e ci teneva a farlo sapere, forse all'Inquisizione, che la sua diocesi era immune dal contagio dell'eretica pravità, infatti gli eretici venivano da fuori della diocesi mantovana.
Donna Bona, anche lei esterna alla diocesi mantovana, era di Dalmazia, regione che, come sopra si è detto, sappiamo essere stata di religione bogomila dal 1199 fin verso la fine del XV secolo, religione che scomparirà per l'arrivo dei Turchi. Il documento dice che l'eretica "fu di Dalmazia" e ci dà la certezza che i Catari mantovani erano in rapporti con il bogomilismo slavo. Inoltre il verbo " fu ", passato remoto, indica che Bona era da molti anni ormai che viveva a Mantova, e che dei testimoni oculari dovevano averla denunciata al Cacciacataro. In una città come la Mantova del XIII secolo, gli abitanti non dovevano essere numerosi, ma che tra tutti gli abitanti venga notata proprio questa donna e indicata come eretica, senza dubbio, voleva dire che era una donna che doveva girare spesso in mezzo alla gente di città, e doveva essere quindi generalmente conosciuta, inoltre la sua parlata attestava dall'inflessione che era una straniera.
Non sappiamo se donna Bona fosse un vescovo bogomilo, ma certo era persona importante perchè il nome è preceduto dall'appellativo " donna", cioè signora di rango superiore, non c'è ancilla, domicella, femina, serva, ecc.. Il vescovo Guidotto dovrà pagare per la consegna un prezzo molto alto, 500 soldi di Mantova, addirittura il 150% più di quello che Gualtirolo doveva pagare allo stesso vescovo, il 500% più di Welfo de Pizo e il 3333% più del presbitero Alberto. Questi confronti attestano che donna Bona doveva essere un personaggio importante all'interno del movimento ereticale e il vescovo ne doveva essere a conoscenza, per pagare una somma così alta.
Welfo de Pizo, se non rispetterà i mandati della chiesa, sarà condannato a pagare 100 lire di Mantova; non ha fideiussori. Ha in casa un figlio morto, Mantovano. E' stato ucciso con un colpo di spada perchè" era noto a tutti che era stato eretico e aiutava e proteggeva gli eretici". Per ottenere che il figlio, potesse avere una sepoltura ecclesiastica, e quindi il perdono, il padre giura di ubbidire ai mandati del vescovo. Questo atto di sottomissione seguito dall'assoluzione " per eretica pravità", era importante perchè in questo modo la famiglia conservava i beni e le prorietà immobiliari, altrimenti passavano di proprietà alla chiesa e al comune. La famiglia De Pizo abitava nel quartiere di San Leonardo, il più adiacente alla città vecchia, con la rispettiva chiesa e quella di San Giovanni, dove abitavano anche i Desenzani, le famiglie dei consiglieri Aldrevandus de Puteo Baroncio, Albertus e Bonellus de Grosa. Seguiamo il Carreri:".. non so poi che pensare dei Pizo che danno il nome a Torricella del Pizzo e che son ricordati ancora al tempo di Luigi Gonzaga sia di Mantova che del contado di Casalmaggiore e Piadena. Ma saranno del gran ceppo, Lanfranco e Manfredo de Piis che promettono ad Enrico Lamberti certi danari secondo il rogito di Bonromeo,notaio di Mantova, il 3 maggio 1249". Ma il Torelli invita ad evitare confusione tra i De Pizo e i Pico dei figli di Manfredi, signori di Mirandola che hanno possedimenti nell'oltre Po. In un documento del 4 giugno 1193 si trova un Manfredus Pizo dei figli di Manfredi, in lite con i De Bagnolo e i Gonzaga. Più tardi Roberto de Pizo e Prendipars suo nipote, " de filiis Manfredi", l'8 luglio 1245, avevano tenuto a feudo terre vescovili nell'isola di Revere. Dopo l'assassinio del vescovo Guidotto, Welfo de Pizo, fu uno dei consoli che formarono il governo provvisorio della città, insieme con Zanechino de Riva, Ubaldo di Ripalta e Pagano di Saviola. Un Welfo de Pizo, insieme con il fratello Ugolino saranno giustiziati a Mantova, verso la fine di ottobre del 1277, per aver partecipato all'assassinio di Mastino della Scala.
Facciamo un confronto dei documenti.
Guidotto nell'inquisizione sulla pieve di Barbasso, scopre che il presbitero e i chierici avevano debiti, mogli e figli; in cinque giorni di indagini, dal 26 al 30 agosto, licenzia tutti. Il vescovo, invece, nei confronti del presbitero Alberto, sacrilego perchè ha partecipato alla sepoltura di un eretico, in cinque giorni di indagini, dall' 11 al 16 ottobre, lo condanna al pagamento di una piccola multa e non lo depone. Emerge dai documenti un vescovo tiepido nei confronti di un suo prete, visto presente alla sepoltura di un eretico, in quanto "le Costituzioni papali colpivano di scomunica chi avesse seppellito un eretico", mentre è inflessibile con i preti della pieve di Barbasso, per il fatto di essere un po' spendaccioni e libertini, ma per quel tempo, erano comportamenti non molto dissimili da quelli praticati da parecchi preti cattolici in tutti i paesi europei. Perchè questo diverso modo di giudicare i suoi preti ? Forse perchè, a mio parere, Guidotto sapeva che i preti in odore di eresia erano quelli che si potevano recuperare in quanto desiderosi di condurre una vita cristiana al servizio della chiesa; molti erano stati ( ad esempio Bonaccorso) e saranno ( ad esempio Raniero Sacconi) gli eretici che si convertiranno al cattolicesimo e entreranno a far parte degli Ordini mendicanti, e conoscendo i nomi degli affiliati, li denunceranno all'Inquisizione, affrettando in tal modo la fine dell'eresia. Mentre i preti immersi nel mondo, si erano dati a vivere da laici ed erano ormai inutili alla causa della chiesa. Per quanto riguarda gli usurai, fin " dall'anno 1179, la Chiesa aveva proibito ufficialmente ai Cristiani l'usura".
Nell'anno 1233 Guidotto è eletto podestà. E' l'anno della cosiddetta " Pace di Paquara", paese
sull'Adige, vicino a Verona. L'ispiratore fu un frate domenicano, fra' Giovanni da Vicenza.
Frà Giovanni da Vicenza, preceduto dalla fama di apostolo della pace, fu accolto con entusiasmo in tutte le città della Marca e dovunque predicò la pace. Comparve a Verona alla metà di luglio del 1233, provenendo da Mantova. Gregorio IX gli aveva affidata una missione pacificatrice. Verso la primavera del 1233, si diffuse da città a città una parola di pace, predicatori popolari, frati dei nuovi ordini religiosi, consigliavano alle arrabbiate fazioni di deporre le armi. Quell'anno, in conseguenza di ciò, fu detto del grande Alleluia, perchè l'alleluia pasquale riusciva più gradito del solito, come annuncio di concordia fra le fazioni politiche. Quando fra Giovanni entrò a Verona, il popolo si mosse ad incontrarlo. Già un decennio prima era venuto San Francesco, ma non lasciò nella storia locale una traccia profonda. Fra Giovanni predicò sulla piazza del mercato. Ezzelino, il podestà Guizzardo da Redaldesco e quindici cavalieri della parte dei Monticoli e dei Quattroventi giurarono la pace con il conte di San Bonifacio, promettendo obbedienza alla chiesa. In seguito a questo le città di Ferrara, Padova, Treviso, Mantova e Brescia restituirono il Carroccio veronese che avevano conquistato in guerra. Come questo fu condotto in città, il frate ascese sopra di esso, e sulla piazza del foro, ( che è l'odierna Piazza Erbe) assunse il nome di duca e di rettore di Verona, per volontà del popolo veronese. Un mese dopo circa, avvenne il grande convegno di Paquara, località accanto all'Adige, vicino alla città, fra Tomba e San Giovanni Lupatoto. Colà, addì 28 agosto 1233 ebbe luogo l'assemblea della città e dei principi, una festa della pace. Erano convenuti prelati di alta posizione sociale, come Bertoldo patriarca di Aquileia, i vescovi di Verona, Brescia, Mantova, Bologna, Modena, Reggio, Treviso, Vicenza e Padova. Poi i principi laici: Azzone d'Este, Ezzelino e Alberico da Romano, i signori Da Camino. Sull'Adige si gettarono due ponti, per dare all'immensa folla lo spazio da distendersi. C'erano le milizie di Mantova, Brescia, Verona, Vicenza, Padova e Treviso coi loro Carrocci. Cavalieri e popolani vennero dalle città e dai villaggi. Un cronista dice che fossero colà quattrocentomila persone. Cittadini guelfi, cavalieri ghibellini, che si erano combattuti fino a qualche giorno prima, qui si scambiavano segni di pace. Fra' Giovanni predicò e comandò la pace a tutti i Lombardi, anzi a tutti gli abitanti d'Italia. Ma tra il momento della sua elevazione al potere e il convegno di Paquara, fra' Giovanni si preoccupò degli eretici che serpeggiavano in Verona, come nel maggior numero delle città confinanti. Addì 21 luglio 1233, fra' Giovanni fece morire sul rogo 60 Patarini, uomini e donne, appartenenti alla clase più elevata della cittadinanza. La fortuna di fra' Giovanni non durò. Dopo Paquara, si recò a Vicenza, ma vi incontrò forte opposizione. Ritornò a Verona, dove lo si trova nel settembre, col titolo di duca e rettore. Federico II si lamentò di quanto era avvenuto. Il papa scrisse al frate per confortarlo paternamente. Finì per abbandonare Verona e si recò a Bologna. Ormai la sua opera pacificatrice era finita, in poche settimane non ne restava che il ricordo ".
Il frate francescano Salimbene degli Adami, nel 1283, nella sua Cronaca, ricorda degli entusiasmi suscitati dal predicatore Giovanni da Vicenza nell'anno 1233, ma lo prende in giro. "..Fra' Giovanni era giunto a tal mattezza e follia per gli onori che gli tributarono e per via che aveva la grazia del predicare, da pensarsi di poter compiere miracoli veri, anche senza Dio. Un giorno che era venuto in una casa di Minori e il barbiere gli aveva rasa la barba, l'ebbe assai a male perchè i frati non gli aveano ricolto i peli de la sua barba, da servare come reliquia".
Questo è l'elenco dei podestà di Mantova dal 1230 al 1234.
Anno 1230- 31
Podestà Loderengo II. A Verona Rizzardo di San Bonifacio, amico di Mantova, fu preso dal partito dei Montecchi.
Anno 1232
Podestà conte Balbino di Casaloldo. Entra in città il vescovo Guidotto. Costruzione del castello di Serravalle Po, per tenere a bada il castello di Ostiglia costruito da Verona nel 1151.
Anno 1233
Podestà il vescovo Guidotto. Fra Giovanni da Vicenza e la pace di Paquara.
Anno 1234
Podestà Aimerico di Arpinello da Bologna. I conti di Casaloldo fanno pace con i Calarosi.
ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE
Il 14 maggio 1235 la potente famiglia eretica mantovana degli Avvocati, con più di 40 colpi di spada uccise il vescovo Guidotto e poi gli furono tagliate le mani. Sull'uscita della sala Capitolare di Sant'Andrea " contemplo la faccia squarciata di Guidotto e le mani lacere e sanguinanti.." Seguiamo le cronache del tempo:
Anno 1235
E' podestà di Mantova, Giacomo di Melato, da Milano. Lunedì 14 maggio, il vescovo Guidotto viene ucciso dagli Avvocati nel monastero di Sant'Andrea. Nel quartiere di Santo Stefano c'erano il monastero e la chiesa di Sant'Andrea. La famiglia Avvocati era di Sant'Andrea, Oltikerius e Ugucionus de Bosone sono fra i Consiglieri del 1164. Nella piazza di Santo Stefano erano le case della famiglia del consigliere Ravasius. Si può credere che le case degli Avvocati fossero sul fianco della piazza di Sant'Andrea, ove poi sorse il campanile. Gli Avvocati furono espulsi da Mantova e le loro case distrutte. Il papa Gregorio IX, il 5 giugno inviò una lettera al popolo mantovano. Egli parlò di crimine imparentato con l'eresia, fatto da " uomini infetti di eretica lordura", aggiungendo che il vescovo aveva " tagliato le cose che nuoccono". Dopo l'uccisione del vescovo ci fu una violenta reazione dopo la fuga degli autori dell'atto criminoso; cacciata del podestà, creazione di un governo cittadino d'emergenza, formato dai consoli, li ricordiamo, Giovanni Enrico da Riva, Ubaldo da Rivalta, Pagano di Saviola e Guelfo de Pizo, che abbiamo già trovato implicato in fatti d'eresia. Otto grandi famiglie furono costrette a lasciare la città: Angeli, Avvocati, Poltroni, Calarosi, Desenzani, Visconti, Visdomini, Ravasi. Guidotto nella sua azione di governo spirituale e temporale della comunità mantovana, aveva voluto restaurare la proprietà vescovile, scomunicare i notai se avessero redatto documenti di investitura di vassalli senza il suo consenso, difendere i diritti giurisdizionali nel contado, introdurre i Predicatori in città, inquisire gli eretici, sostenere la politica di Gregorio IX, fare il podestà e avere l'idea di una Chiesa superiore a qualsiasi potere. Per ottenere tutto ciò, si era appoggiato ai vassalli e alla oligarchia cittadina. Ma i vassalli erano decisi ad affermare la loro autonomia dal Papato e dall'Impero. In quel tempo i vassalli allodiavano le terre, liberavano i rustici, volevano conservare il controllo delle proprietà vescovili insieme con la curia dei Pari e il Capitolo della Cattedrale. Guidotto aveva messo in pericolo la loro autonomia e allora lo assassinarono. Ma l'uccisione di un vescovo- podestà è un fatto che sconvolge la comunità mantovana, pur sempre nella sua maggioranza di religione cristiana e legata affettivamente e devotamente al suo Pastore. Ci fu un'insurrezione di popolo che saccheggiò il monastero di Sant'Andrea . I cospiratori, nel loro piano, dovevano essersi preparata una via di fuga e chi poteva essere il loro ispiratore-protettore? A mio parere, la pista dei Catari non era quella giusta; l'assassinio del vescovo fu preso come pretesto dal papa Gregorio IX per incolpare gli eretici, che erano da estirpare, e aizzare la collera del popolo contro di loro. Così come è sempre successo nel corso della storia, chi detiene il potere, incolpa a torto o a ragione, di un fatto riprovevole, la parte avversa, per distruggerla. Fanno testo le persecuzioni contro gli Ebrei o gli Zingari, soprattutto in presenza di gravi crisi economiche. Invece da seguire, secondo me, era la pista che portava ad Ezzelino da Romano, signore della marca Trevigiana e ormai prossimo signore di Verona. Era un feroce avversario del papa e contrario alle pratiche religiose, puntava ad impadronirsi di Mantova. Ucciso il vescovo, significava aprire la strada ad una signoria amica e laica, quindi controllabile. Un'ipotesi questa che viene da una traccia corposa, gli assassini di Guidotto, Uguccione d'Altafoglia Avvocati e i complici, trovarono subito rifugio e asilo proprio presso Ezzelino.
L'assassinio del vescovo Guidotto così è raccontato nei versi dell'Aliprandina, "osia Cronica della città di Mantova di Buonamente Aliprando, cittadino mantovano."
"..Mil ducent trenta quattro in veritade
gli Agnelli, che parte lor si tenìa
degli Avocati, che fur bandeggiade,
e i conti Casalod pace facìa.
Con Calarosi era grande affare
in piazza di Brolet la concludìa.
Mille ducent trenta cinqu'a non fallare
de lo mese di maggio al vero dire,
un grandissimo mal fu fatto fare.
Lo vescovo Guidot senza fallire
fu morto in Sant'Andrea monastero
da gli Avocati, ch'avean gran patire
Funne fatto grande processo e fero,
si che di Mantova furon cacciati
con suo gran danno e non punto leggiero.
Le case per terra furon gittati;
ancora a li seguaci, che li avìa.
Tutti di Mantoa furon ribellati.
Li seguaci Poltroni si dicìa
Desenzani, Ravasi e Calaroso,
Visconti e Visdomini in compagnia..."
Le nobili famiglie mantovane, rappresentate da 89 persone, erano state chiamate in palazzo vescovile da Guidotto, il 22 giugno 1231, per ricevere il giuramento di fedeltà in quanto suoi vassalli, indi li investe dei loro feudi, facendo loro promettere di stare contro gli eretici. Tra i presenti un Alario de Bagnolo. Le più potenti famiglie mantovane, quattro anni dopo, lo uccideranno.
LEGGI CONTRO GLI ERETICI : MANTOVA
Alla fine del XII secolo in Italia, la lotta dei Comuni contro Federico Barbarossa, con l'appoggio del papa, aveva esautorato ogni autorità cittadina. Il vescovo non aveva in mano il governo della città, il Comune era geloso contro ogni intervento che ne minacciasse l'autonomia. La conseguenza fu che la lotta contro l'eresia, per lungo tempo, nelle città comunali italiane, fu affidata al vescovo, la scoperta dell'eretico e la sua colpevolezza, mentre al Comune era affidata la sua punizione. Il vescovo però, non aveva nessun potere per imporre all'autorità politica cittadina anche solo l'arresto o la messa al bando dell'eretico. L'eresia in Italia ha goduto a lungo di una tranquillità quasi assoluta, fino alla decretale di Innocenzo III del 25 marzo 1198: era cominciata la caccia all'eretico.
Qualche anno dopo la morte di Guidotto, il rispetto delle leggi contro gli eretici, nel comune di Mantova, non doveva essere molto rigido. Infatti il vecovo di Mantova Giacomo della Porta, ( 1237- 1252) di Castell'Arquato, ex canonico della Cattedrale di Piacenza, in una investitura del 6 aprile 1239, faceva obbligo, con giuramento, al vassallo Nicolò de Bagnolo, di prestargli ogni appoggio per cacciare da Mantova e dal suo distretto i Catari.
In una investitura del vescovo di Mantova, Martino, del 16.1.1266, faceva obbligo con giuramento al vassallo dell'episcopato di prestare al vescovo ogni appoggio per cacciare da Mantova la setta dei Cattaros, il che mostra come il Comune di Mantova non fosse troppo rigido osservatore delle costituzioni papali. Tali leggi non si trovano negli statuti bonacolsiani.
Nel 1252 il papa Innocenzo IV ( Sinibaldo Fieschi, 28 giugno 1243- 7 dicembre 1254) elesse Martino di Parma vescovo ( 1252- 1268 ) di Mantova. Aveva l'incarico preciso di " procurare alla chiesa l'integrità del potere spirituale e temporale e di difenderla dai morsi di lupi rapaci". Il vescovo impose le Costituzioni di papa Innocenzo III e successori, al Comune. " Dopo aver convocato il Consiglio cittadino, i capi dei partiti, delle società e dei vessilliferi, le leggi contro gli eretici furono lette nella camera del Consiglio, alla presenza del vescovo e del podestà di Mantova, Tomaso de Pocelengo e furono riconosciute per leggi e statuto del Comune e da essere osservate in perpetuo". Il che prova come il partito guelfo e la chiesa preponderassero nel Comune di Mantova.
Constitutiones domini Pape contra hereticos
Costituzioni del papa contro gli eretici
Il giorno di mercoledì 17 novembre 1252, indizione X.
La legge è composta di 69 rubriche e comprende le leggi di Papa Innocenzo III e successori, inoltre le leggi dell'imperatore Federico II contro gli eretici. Erano leggi molto severe nei confronti degli eretici e dei loro fautori che, una volta scoperti, erano esclusi completamente dalla vita civile. La legge prescriveva contro gli eretici:
" Che sia tolto loro ogni diritto di difesa e di appello;
" Che siano privati della facoltà di fare testamento;
" Che i loro figli non possano adire alla eredità paterna, salvo il caso in cui questi promettano di non seguire la pravità del padre;
" Che siano distrutte le loro case e confiscati i beni, i quali debbano per una parte pervenire al Comune, per un'altra agli Ufficiali ( dell'inquisizione ) e per una terza al Diocesano da adoperarsi a favore dell'estirpazione dell'eresia;
" Che siano privati dei diritti civili, inquisiti, banditi e scomunicati tutti quelli che loro daranno aiuto.
Incaricati di eseguire le sentenze del Tribunale dell'Inquisizione era il Podestà, come imponeva la Rubrica 57 : Quod Potestas procedat contra hereticos secundum leges Federici Imperatoris, Padue promulgatas. ( Il Podestà proceda contro gli eretici secondo le leggi dell'imperatore Federico ( II ), promulgate a Padova ). Cosa doveva fare degli eretici condannati, il Podestà ? Secondo la rubrica 19, "... ut vivi inspectu hominum comburantur flamarum.." ( affinchè siano bruciati vivi alla presenza del popolo).
" Queste le sètte eretiche : Cataros, Patarenos, Seperovistos, Liconistas, Arnaldistas, Circumcisos, Pasaginos, Josephinos, Gargantenses, Astanenses, Franciscos, BAGNOLES comites Valdenses, Roncarolos, Cominelos, Varinos et Ortolanos cum illis de Aquanigra et omnes Hereticos utriusque sexus quocumque nomine censeantur, perpetue damnamus infamia". ( Condanniamo per sempre all'infamia tutti gli eretici di entrambi i sessi e con qualunque nome siano chiamati.)
Fu in seguito alla promulgazione di questo Statuto "che si scompaginarono le varie sètte che eransi formate nel mantovano e che Martino di Campitello, della sètta di Bagnolo, nel 1265, fu arso vivo come eretico". E' in questo periodo che ci fu una fuga in massa di eretici verso Bologna e Sirmione.
In una investitura del 16.1.1266, il vescovo di Mantova, Martino, faceva obbligo con giuramento al vassallo dell'episcopato di prestargli ogni appoggio per cacciare da Mantova la setta dei Cattaros, il che mostra come il Comune di Mantova non fosse troppo rigido osservatore delle costituzioni papali. Tali leggi non si trovano negli statuti bonacolsiani.

CARLO D'ANGIO'
La situazione in Francia .
La crociata contro gli Albigesi iniziata nel 1208 terminò nel 1229 con il trattato di Meaux- Parigi. Il re Luigi IX diventò padrone di tutta la Francia meridionale, con le armi, ma per questo non era ben accetto da quelle popolazioni. Per pacificare quelle terre ricorse ad una accorta politica matrimoniale. Giovanna, figlia dell'ultimo re di Provenza, Raimondo VII di Tolosa, andò sposa al fratello di Luigi IX, Alfonso di Poitiers, nel 1237. Raimondo VII morì nel 1249 e il principe francese diventò conte di Tolosa. Carlo d'Angiò, altro fratello del re, sposò Beatrice, figlia di Raimondo Berengario, conte di Provenza. Il re Luigi IX era diventato parente e padrone di tutta la nobiltà della Provenza. In Italia, fino al 1250, con l'imperatore Federico II, la Chiesa aveva usato estrema prudenza contro gli eretici. Infatti aveva demandato ai vescovi o agli inquisitori o alle autorità laiche la possibilità d'azione contro gli eretici. Anche Corrado IV fu amico e fautore di eretici. Quando Manfredi, nel 1258, si fece eleggere re di Sicilia, a lui si oppose il Papato che chiese l'intervento militare di Carlo d'Angiò. Nel 1266, a Benevento, l'Angioino uccise Manfredi e nel 1268, a Tagliacozzo, sconfisse e poi uccise Corradino. Divenuto padrone dell'Italia meridionale Carlo cambiò la classe dirigente e i preti locali con personale francese di sua fiducia. Aveva l'appoggio sicuro del papato.
IN ITALIA
Nel corso del XIII secolo in Italia mutarono le condizioni sociali. Ci fu un risveglio economico e i mercanti italiani sciamavano in tutta Europa; portavano lane grezze, prestavano denaro e degli italiani diventarono consiglieri del re di Francia. Quando l'attività economica si sviluppa, il benessere, dai più ricchi finisce col raggiungere anche le classi più modeste. Le città si ingrandirono e si abbellirono. Migliorò il tenore di vita. Si affinò la cultura e si diffuse la gioia di vivere. Di fronte a queste mutate condizioni economiche e sociali, la fede catara, che offriva al fedele un mondo maligno pieno di sofferenza e dolore , era sempre meno seguita.
Il sistema guelfo-angioino aveva accelerato la fine della casa sveva nella penisola. I ghibellini uscivano sconfitti insieme con l'impero e in Italia cambiò il padrone. Ora a comandare in Italia erano le truppe francesi, alleate del Papa. Queste mutate condizioni politiche portarono ad un cambiamento di indirizzo anche nel mantovano e nel veronese, sotto il governo di Pinamonte Bonacolsi e Mastino della Scala. Queste regioni erano sempre state piene di eretici e, per ingraziarsi i nuovi padroni, gli Angioini e di riflesso anche il papa Giovanni XXI, Pinamonte e Mastino pensarono di compiere un'impresa tale da dimostrare al re Carlo D'Angiò e al papa la loro fede nella religione cattolica, e quindi di avere da loro un appoggio nel mantenimento del potere locale. Sull'altare della politica e del tornaconto personale sacrificarono l'intera comunità catara bagnolese che si era trasferita a Sirmione, sul lago di Garda.
SIRMIONE
La Cattura.
"Anno 1276. Il 10 gennaio muore Gregorio X ad Arezzo. Il 21 marzo è eletto papa Innocenzo V. Nel mese di aprile Veronesi e Mantovani giurarono i mandati di Rodolfo, re dei Romani, alla presenza di numerose persone di entrambe le città.
Lì 18 agosto 1276. Muore Innocenzo V.
" Item eodem anno de mense novembris, die jovis XII, eiusdem mensis, episcopus veronensis, una cum dominis Pinamonte de Bonaconsis, Alberto de la Scala et fratre Philippo executore hereticorum, iverunt Sermionum, quod steterat domus ipsorum longissimo tempore, situm in lacu Gardensi, et ceperunt CLXVI inter hereticos et hereticas, et conducti fuerunt Veronam de voluntate et beneplacito domini Mastini, qui tunc erat dominus Veronae."
"Nello stesso anno, ( 1276 ) nel mese di novembre, giovedì 12, il vescovo di Verona, (frate Timidio), insieme con Pinamonte Bonacolsi, Alberto della Scala e frate Filippo Bonacolsi, giustiziere di eretici, andarono a Sirmione, che era stata residenza eretica per lunghissimo tempo, situato sul lago di Garda, e catturarono 166 tra eretici ed eretiche, e furono portati a Verona per volontà e beneplacito del signor Mastino, che allora era signore di Verona."
Anno 1277, martedì 26 ottobre. Mastino della Scala, che era stato signore di Verona per lungo tempo, fu ucciso da quelli di Pigocio, davanti al palazzo nuovo del comune di Verona e vicino alla sua casa, e con quelli di Pigocio c'era il signor Isnardo de Scaramellis che ordinò ciò, e in occasione di detta morte, furono presi i signori Gilberto de Becchariis e Isnardo predetto; il mercoledì seguente, di mattina, furono uccisi nella piazza del mercato; poi in occasione di detta morte, furono catturati i signori Bonmassario e Nigrello de Blanchanis, Scaramella de Scaramellis e Danexio suo nipote e parecchi altri della famiglia De Scaramellis e Scaleta de Scalis e molti altri; e tutti furono uccisi dal comune di Verona. E il signor Antonio de Nogarolis fu ucciso con lo stesso signor Mastino e nella predetta occasione fu catturato a Mantova il signor Niccolò de Arlotis, il signor Ugolino de Pizo e suo fratello Guelfo e tutti e tre furono decapitati a Mantova e molti altri degli Arlotti furono uccisi nelle carceri del comune di Mantova. Il signor Giovanni de Bonacolsi era podestà di Verona e il signor Alberto della Scala era podestà di Mantova."
Dal processo ad Armanno Pongilupo
"..Il signor Nicola, figlio di Asiati di Brescia, il 26 aprile 1285, giurò che sono 8 anni circa che era ufficiale inquisitore, cazzagazaro, (Cacciatore di Catari ) per la chiesa di Verona. Ed essendo stati catturati molti eretici in Sirmione...."
Tra il 1276 e il 1279 Brescia perdette molti castelli, come Manerbe e Bedizzole, per mano di Verona, Alberto della Scala e di Mantova, Pinamonte Bonacolsi, divenuto signore della città approfittando, come dice Dante (Inf. XXVI, v. 95) della "mattìa di Casaloldi", cioè della storditezza di Alberto di Casaloldo, precedente signore. Verso la fine di questo conflitto, Brescia si alleò con Cremona, Parma, Ferrara e Gherardo da Camino contro Alberto della Scala. In questo periodo vi fu un inasprimento della guerra contro gli eretici, che si identificavano spesso con i ghibellini o comunque con gli avversari della pars ecclesiae. Tra gli eretici figurano due bresciani, un Lanfranco da Brescia, investito di un'alta dignità nella gerarchia ereticalee un Giovanni di Manerbe. L'azione antiereticale fu condotta inflessibilmente, e culminò in una retata di 168 catari perfetti, catturati a Sirmione dalla milizia di Alberto della Scala, dei quali 70 furono mandati al rogo ( Verona, 1278, febbraio) e gli altri salvati per intercessione di papa Giovanni XXI.
A Sirmione, sulle rive del Garda, gli inquisitori lombardi e veneti fecero, nel 1277, (ma è l'anno 1276) una retata di 168 perfetti catari, uomini e donne, e misero in istato di accusa tutti gli abitanti. Settanta perfetti furono bruciati e gli altri favoreggiatori si salvarono solo perchè invocarono clemenza dai giudici, e Giovanni XXI ( Pietro di Giuliano o Ispano, 20 settembre 1276- 20 maggio 1277) intercesse per essi, purchè giurassero guerra ai nemici della fede.

IL ROGO
Anno 1278, addì 13 febbraio, domenica.
Il papa è Niccolò III, (Giovanni Gaetano Orsini, 26 dicembre 1277- 22 agosto 1280).
Nell'arena di Verona furono bruciati circa 200 Patarini di quelli che furono presi in Sirmione e frate Filippo, figlio del signor Pinamonte, era l'esecutore
" Et suo tempore de mense novembris captum fuit Sermionum, sive reditum fuit ecclexie. Et capti fuerunt circha 150 patarinis contra fidem inter masculos et feminas; qui omnes ducti fuerunt Veronam, et pro maiori parte combusti ".
" In quel tempo fu preso Sirmione, ossia fu restituito alla chiesa. E furono catturati circa 150 Patarini tra maschi e femmine, che erano contro la fede cattolica; tutti furono condotti a Verona, e la maggior parte bruciati."
Nel 1273 viene citato Sirmione come nido di Patarini; anzi, colà risiedeva il loro vescovo Lorenzo. In quell'anno si occupò degli eretici di Lazise, frate Timidio, allora inquisitore.... Nel 1275 fu fatto vescovo di Verona il suddetto frà Timidio. Costui, con l'inquisitore Filippo Bonacolsi, il padre di lui Pinamonte, ( quegli che fu capitano del popolo di Mantova), e Alberto della Scala, mossero, con una schiera di armati, contro Sirmione e presero questo borgo addì 12 novembre 1276. Vi catturarono 166 tra eretici ed eretiche e condussero a Verona i prigionieri, ponendoli in balìa di Mastino. Questi li tenne in carcere e null'altro fece contro di essi, ma , dopo la sua morte, successogli nel capitanato, il fratello Alberto, la maggior parte di quei prigioni fu condannata al rogo. Il loro supplizio fu eseguito nell'anfiteatro addì 13 febbraio 1278. Nicolò III lodò più tardi Albertro della Scala e quegli altri di sua famiglia che avevano avuto parte al fatto di Sirmione e, quasi in ricompensa, donò loro il castello di Illasi
Filippo Bonacolsi figlio di Pinamonte, signore di Mantova, entra nell'Ordine francescano e viene nominato dal papa Nicolò IV, inquisitore della Marca Trevigiana. Indi il papa dà mano libera "a Filippo di Mantova" inquisitore, sugli eretici di Sirmione, dei quali ne brucia 70. Nel 1277, su beneplacito del papa, Filippo assolve la città di Verona dalla censura per aver dato aiuto, consiglio e favore a Corradino. Però i veronesi dovevano versare lire 4000 per fabbricare un monastero ai frati minori nella terra di Sirmione. Nicolò III nel 1280 lo nomina nell'arcivescovado di Ragusa, ma vi rinuncia. Nicolò IV lo manda vescovo a Trento, ma poi è costretto all'esilio per Francoforte e Roma. Torna a Mantova nel 1303 e nello stesso anno, il 18 dicembre, muore.
FINE DEI CATARI
Perchè si è spento il catarismo? Nei secoli dall'XI al XIII il Catarismo si è inserito in un tessuto sociale disposto ad accoglierlo, ma imitando "nudi il Cristo nudo", è rimasto fermo nel suo evangelismo coincidente con apoliticità e sofferenza, persecuzione e dolore. Nella Francia meridionale si era legato alla nobiltà locale che l'appoggiò per antipatia alla chiesa. In Italia si affiancarono ai ghibellini e ai nobili, ma erano forze già in crisi. Travolta la nobiltà del Sud francese dalle armate del Nord, i Catari si trovarono soli. Furono perseguitati dalla nobiltà francese vincente perchè ritenuti la punta di diamante del patriottismo meridionale. Furono alla mercè dell'inquisizione perchè ritenuti i più pericolosi nemici della fede. In Italia, morti Federico II nel 1250 ed Ezzelino da Romano nel 1260, i Catari videro il crollo del ghibellinismo. Fu instaurata la politica guelfa e angioina che diede mano libera all'inquisizione. Le forze economiche avevano prodotto una società ricca e prospera, e dato alle masse un nuovo sentimento di intendere la vita non come condanna, ma come speranza per il futuro. I Catari credevano nel fatalismo, negavano il riprodursi della vita, non si sono rinnovati e sono stati travolti.
"Nei primi decenni del trecento in Italia il catarismo muore. Restano, come dopo un grande incendio, le faville, oggetto dell'interesse dello storico, per quel che è più il suo amore del passato, ma non forze della storia". Il perdurare dell'interessamento degli storici per i movimenti ereticali del medioevo può portare ad esagerarne sistematicamente l'importanza effettiva nell'evoluzione dei valori religiosi medievali; la coscienza moderna indipendente valuta in essi una anticipazione di posizione e di soluzioni personali, sociali, politiche circa il problema sempre vivo dei rapporti dell'individuo e dello Stato con la religione e l'autorità ecclesiastica; ciò contribuisce piuttosto ad estenderne la notorietà anzichè a determinare e a definire l'influsso reale nei quadri del loro tempo".
Il catarismo è stato inutile e la sua presenza senza effettivo significato storico ? Abbiamo visto
nell'XI secolo l'inquietudine religiosa delle masse, che erano alla ricerca di una fede, e l'avevano trovata nel catarismo, che nei secoli XII e XIII ha esercitato un peso religioso eccezionale, impegnando la Chiesa in uno sforzo dal quale uscì rinnovata. Dalle critiche dell'eresia catara fu costretta ad aprire le diocesi, mondi chiusi, a nuove forze rappresentate dagli Ordini Mendicanti, che furono presenti nei luoghi dell'eresia per combatterla con le sue stesse armi, il digiuno, la preghiera, l'aiuto ai poveri, la costruzione di ospedali. "La Chiesa fu costretta a ripensare al suo complesso dottrinale, alla sua liturgìa. Considerò con occhi diversi i laici come comunità cristiana. La Chiesa fu obbligata ad un esame di se stessa, a migliorarsi, a riformarsi senza tregua per due secoli. Storia conclusa dunque quella dei Catari, se ci limitiamo alla constatazione che questi non esistono più; ma perenne, se pensiamo che le forze che essi hanno suscitato, gli ideali che hanno risvegliato, per il loro sacrificio, per la loro decisione e la loro fede, sono entrati nel circolo eterno della storia".

APPENDICE
UBERTUS DE SULFRINO
Die sexto intrante Iulio, presens domino Iohanne de Gonzagha preposito Mantuae, Angeli, Avvocati, Poltroni, Calarosi, Desenzani, Visconti, Visdomini, Ravasi. magistro Bernardo parmense,\\ domino Phy(lippo) de Saviola, canonico Mantuae, domino Hugone cappellano domini Guidocti, dei gratia Mantuae electi, Bonaventura fratre\\ de Ordinis Predicatorum et aliis. In pallatio episcopatus Mantuae, Ibique Ubertus quondam Gualtiroli de Sulfrino,\\ ante presentiam domini Electi predicti cum esset de heresi infamatus iuravit stare super facto heresis mandatis ecclesie\\ et ipsius et omnia precepta que propter hoc sibi faceret observare, et spetialiter exire civitatem et diocesim mantuanam. Si\\ aliquando contra fidem vel articulos fidei inventus fuerit culpabilis vel suspectus, iuravit ad voluntatem predicti domini electi, sub pena quam ab eo exigere voluerit.
Item eodem die et eodem pallatio, presens domino Hugone cappellano dicti domini electi, domino Bonamente iudice\\ , Zanino notario de Persellanis, et aliis. Idem dominus electus precepit sub debito iuramenti prefato\\ Uberto ut quociens fuerit per se vel per suos nuntios requisitus pro facto heresis de qua fuerat infamatus se \\ ante suam presentiam presentaverit, eius precepta in omnibus servaturus. Itemque dominus precepit eidem Uberto quod de cetero fidem\\ catholicam quam tenet ecclesiam romanam et observat debeat observare, et quod de cetero cum hereticis participationem\\ seu familiaritatem non habeat nec consilium vel auxilium per se vel per alium plubice (sic) vel privatim\\ dabit vel prestabit hereticis et si contra predicta vel in aliquo predictorum inventus fuerit facere per\\ se vel per alium publice vel privatim, penam CC librae imperialium solvere ac dare promisit predicto domino\\ electo, et obligatione bonorum suorum. Que omnia promisit per stipulationem dicto domino electo at\\tendere et observare. Cuius promissionis dominus Bellebonus qui stat de Portanova, Milletus\\ notarius qui stat in contrata Sancti Jacobi, et dominus Bonaventurinus de Adelardis extiterunt fi\\deiussores, pro dicto Uberto, promittentes per stipulationem dicto domino electo\\ facere et curare quod ipse Ubertus attendet omnia predicta, et si non attenderit\\ vel observaverit promiserunt dicti fideiussores predictam penam dare et solvere\\ domino electo prefato ita quod uterque ipsorum in solidum teneantur de omnibus predictis et spetialiter de ipsa pena.
DONNA BONA
Eo die, loco et mense ( VIIII exeunte Januario) et testibus ( domino Hugone cappellano domini episcopi, Guielmino de Vicedominis, Alberto Flacazovo). Ibique dominus Jacominus de Buccamaiore promisit\\ per stipulatione domino Guidocto, dei gratia episcopo Mantuae, dare et assignare ei infra tertium diem postquam\\ ab eo peteret donnam Bonam, que fuit de Dalmacia, et est de heresi infamata, que infirmabatur\\ Mantuae, et si hoc non attendet, promisit ei dare nomine pene, quingentas libras Mantuae,\\ penas non attenderet?, quam precepit aasignari et dari sibi domino Jacomino\\ a Zaffardo de Adelardis, cazacatharo. Qui? Zaffardus eo die presentibus Alioto\\ de Olivis et Jacobo de Sighizis et Venerio suo filio, dictam donnam Bonam dicto\\ domino Jacomino dedit et assignavit in suis manibus custodiendam, que erat tunc in turre\\ dominorum Adelardorum, et hoc dessignatio ibi facta fuit.
ALBERTO DI BELFORTE
Die XI intrante octubre, presentia dominis presbitero Jacobo et Filipo de Saviola canonicis Mantuae, magistro Girardo et aliis testibus rogatis.\\ In pallatio episcopatus Mantuae. Ibique presbiter Albertus ecclesie Sancti Michaelis de Campitello, iuravit stare mandatis domini Guidocti\\ dei gratia Mantuae episcopi et parere pro eo presertim quod interfuit sepulture vel sepelitioni quondam domini Alberti de Belforto\\ qui fuit usurarius et hereticorum defensor et fauctor et quia non erat de episcopatu Mantuae, veluti prefatus dominus episcopus\\ asserebat. Posta vero ipse idem dominus episcopus, precepit eidem presbitero, Al(berto), sub vinculo iuramentj illius, ut usque ad octo\\ dies det ei duos fideiussores qui sint admittendi tamquam boni.
Die XVI intrante octubre, presentia dominis presbitero Jacobo canonico Mantuae, presbitero Grandeo presbitero de Arzagho\\ Johanne Bono notario de Righizo et aliis. In pallatio episcopatus Mantuae. Ibique cum presbiter Albertus ecclesie Sancti Michaelis de Campitello\\ iurasset stare mandatis domini Guidocti, dei gratia Mantuae episcopi, et parere pro eo presertim quod interfuit sepultura vel vel sepelitioni\\ quondam domini Alberti de Belforto qui fuit usurarius et hereticorum defensor et fauctor et quia non erat de episcopatu Mantuae,\\ veluti prefatus dominus episcopus asserebat, et quod per hoc duos bonos fideiussores dare tenebatur eidem in dicto termino sibi dato \\ quod apparet per publicum instrumentum a me notario infrascripto confectum. Oddolinus campsore et Martinus Ravacollus de Sancto\\ Michaele renuntiando omni suo iure et auxilio episcopale domini Adriani et quilibet se principaliter et in solidum obligando\\ promiserunt dicto domino episcopo stipulanti se facturos et curaturos quod predictus presbiter attendet omnia\\ supradicta, alioquin per se et de suo attendere promiserunt, sub pena XXV soldos Mantuae et pena iterum attendere et omnia sua bona in super? iure pignora, obligando eidem , postea ibidem dictus dominus episcopus\\ precepit presbitero Alberto predicto ut hinc ad XV dies in manibus camerarii exhibeat unum\\ pignus XV soldos Mantuae et si non attenderet, precepit dictis suis fideiussoribus ut attendent.

WELFO DE PIZO
Die XV intrante decembre,presentia dominis Compagnono presbitero et Conradino de Grosolanis, canonicis mantuanis, Pizo et Hugone de Pizo, testibus rogatis. In ecclesie Sancti\\ Andree de Mantua. Ibique dominus Azo de Buffis, canonicus mantuanus, vice ac nomine domini Guidocti, dei gratia episcopi mantuani, et de suo mandato \\dixit et denuntiavit domino Welfo de Pizo ut iuraret mandatis ecclesie et ipsius domini episcopi, cum dicatur ipsum esse factorem et defensorem here\\ticorum, et domino eius filio Mantuano, tunc gladio interfecto, per hoc videlicet que ut fama est huiusmodi fauctor erat\\ atque defensor iamdictus dominus episcopus vellet sepolturam ecclesiasticam denegare. Quare dominus Guelfus iamdictus ad\\ denuntiationem dicti domini Azonis respondens, iuravit mandatis ecclesie parere ac predicti domini episcopi in hac parte spetialiter quod\\ hereticos non defendet nec fovebit neque tenebit in domibus propriis nec eis dabit consilium auxilium vel favorem, sub pena\\ C libras Mantuae. Qua soluta cum expensis in ipsa petenda et exigenda factis contractus iste nichilominus in sua firmitate perduret\\ et totiens comittatur et peti et exigi possit, quotiens pactum fiunt contra predicta vel etiam aliquid de predictis.
NICHOLAUS DE BAGNOLO
Die mercurii sexto intrante aprili ( anno 1239). In quodam pallatio episcopatus Mantuae in presentia domini, don Rainaldi presbiteri monasterii Sancti Andree et domini Uberti clerici ecclesie Sancti Michaelis de Parma et Alberti \\ Flacazoui atque Philippis Porcharii servientis domini episcopi Mantuae testium. Ibi dominus Jacobus miseratione dominum episcopus Mantuae, vice et nomine episcopatus Mantuae inuestiuit dominum Nicholaum de Bagnolo de suo recto feudo\\ eo salvo et expensum dicto quod nominatus dominus episcopus per hanc inuestituram non dat nec concedit ei aliquid jus neque racionem in eo quod ultra suum rectum feudum in aliquo occupasset vel inuasisset ex bonis\\ episcopatus Mantuae pro quo quidem feudo dictus dominus Nicholaus continuo iuravit fidelitatem predicto domino episcopo et episcopatui Mantuae contra omnes personas salua fidelitate priorum antecessorum siquos habet predictum quod in omnibus continetur in capitulo\\ fidei addens in suo sacramento quod dabit operam et uirtutem ipsi domino episcopo et eius nuntiis pro posse expelendi Catharos de Mantua et eius districtu.

RITORNA

 

 

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