La costruzione di una gabarra
e altri tipi di barche fluviali a fondo piatto avveniva secondo
le secolari esperienze dei cantieri veneti e mantovani.
Il susseguirsi delle varie
operazioni sono intimamente collegate con la forma stessa
dello scafo.
Le prime fasi per la costruzione
di una gabarra o di altri tipi di barche a forma piatta, cioè
fluviale, sono : disporre una tavola centrale di larice nel
fondo chiamata colomba, su
dei cavalletti, dandole una giusta insellatura chiamata cavalin.
Poi si posano le tre ordinate
al centro dette maestre ;
ad ogni ordinata si fissano due sanconi
; dopo di che si mettono lasta di poppa
e il carrozzo e vicino allasta
di poppa due sanconi ; uguale si faceva per lasta
di prora.
Lassieme di questi
assembramenti, formava il cosiddetto tre
di spade.
Si procedeva poi mettendo
i due galoni sia a destra
che a sinistra e le prime tavole del fondo.
Poi venivano posti i cerchi,
in veneto serci, che sarebbero
stati i primi corsi alti del fasciame
esterno i quali erano in larice di cm 6 ; quindi si
fissavano tutte le ordinate, cioè le corbe
in rovere di cm 18 per 10 e ad ogni corba si fissavano due
sanconi i quali facevano parte dellossatura della barca
stessa ; poi si metteva il paramezzale
al centro dello scafo il quale univa tutte le ordinate da
poppa a prora.
Il cosiddetto paramezzale
era in larice da cm 30 per 35.
Tutta lossatura veniva
poi rivestita con il fasciame esterno, le bande
e un fasciame interno chiamato nerve,
sempre di larice ; le prime due nerve erano di cm 7, le altre
di cm 5 ; dopo di che si applicavano le strutture delle coperte
sia di poppa che di prora e della sentina
al centro.
La suddetta sentina
serviva da magazzino per le corde e cose varie ed era il punto
dove si riuniva lacqua quando la barca era a pieno carico
per piccole perdite che poteva avere ; queste si asciugavano
con dei secchi o con la pompa a mano e manualmente anche con
la sessola.
Sia la prora che la poppa
venivano adibite per gli alloggi dellequipaggio ; dopo
di che si posavano gli schermi
sia di destra che di sinistra ; i suddetti schermi o corridoi
servivano per poter camminare da poppa a prora ; questi erano
in larice dello spessore di cm 15 per 40 di larghezza .
Dopo di che si mettevano le
costiere e catene,
in veneto, caene ; le suddette
costiere erano di cm 8 per 30 di altezza e andavano da poppa
a prora .
Le costiere servivano da appoggio
per i boccaporti delle due stive di carico sia di prora che
di poppa.
Al centro di ogni stiva di
carico si metteva una trave di forma quadrata di abete di
cm 25 per 25 la quale era sostenuta da due forcelle
dove venivano appoggiate le travi, chiamate ciavseli,
che servivano per appoggio delle boccaporte.
Dalla parte interna venivano
messi dei braccioli per sostenere
gli schermi e le costiere.
Dalla parte esterna degli
schermi veniva messo il cosiddetto vasolin
in larice di cm 15 per 8 che faceva da bordatura e andava
da poppa a prora e si congiungeva con le giunte
sia di prora che di poppa ; da notare che sia a poppa che
a prora prima di mettere le tavole delle coperte venivano
messe due bitte a sinistra
e due a destra in rovere e quasi in estrema prora venivano
messe altre due bitte leggermente inclinate, chiamate svei,
più piccoli.
Sempre a prora, al centro,
veniva messa una bitta in
rovere che andava ad incastrarsi sul peramezzale
sotto prora ; la suddetta bitta serviva quando si veniva trainati
dai rimorchiatori sia a vapore che da quelli a motore diesel.
A prora cera largano
che serviva per salpare lancora.
In seguito sia a poppa che
a prora venivano messe le giunte
in rovere, le quali servivano per rinforzo della barca stessa
e per darle più estetica e simmetria.
Sullasta di poppa veniva
messo il timone e la barra
che in dialetto veniva chiamata rigola.
Da notare che una gabarra
della portata di quintali 2000 era lunga metri 31 o
32 circa e larga al centro circa metri 7, con un pescaggio
a pieno carico di metri 2,10 ; in più era dotata di
una barca piccola comunemente chiamata batèl
di metri 7 o 8 di lunghezza e circa 1.30 o 1.40 di larghezza
che serviva per ormeggiarsi, fare la spesa o per lacquisto
di viveri per lequipaggio.
Lo stesso battello
serviva per navigare in discesa lungo il Po ; a bordo del
battello cerano due rematori che facevano da traino
alla barca stessa, che così poteva essere governata
meglio e andare un po più forte della corrente
del fiume.
Le suddette barche avevano
uno o due alberi i quali servivano nelle lagune e nei canali
interni per sfruttare la forza del vento con le vele.
Da notare che per piegare
le tavole venivano messe su una cavria,
bagnate sopra e con un fascio di canne accese si scaldava
sotto per poterle dare la giusta curvatura.
I chimenti,
cioè quelle piccole fessure che rimanevano fra una
tavola e laltra della barca, erano accuratamente galafattati
con la stoppa di canapa e
coperti con la pece calda
o pegola .
La pitturazione interna ed
esterna della gabarra era un lavoro riservato ai pegolìn
o galafas .
Lequipaggio di una barca
era composto da tre persone : primo il capobarca detto paròn
; secondo il marinaio ; terzo
il bocia detto morè,
cioè allievo barcaiolo .
Per quanto riguarda certe
parti in ferro, come ad esempio le femmine del timone, due
venivano fissate sullasta di poppa e due sul timone
stesso ; si infilava poi il maschio ed il tutto faceva da
cerniera al timone stesso.
Sempre il fabbro, faceva dalle
due alle tre ancore e svariate misure misure di chiodi
quadri.
Tutte queste cose le faceva
Galafassi Odone detto freròn,
il quale lavorava per il cantiere di Governolo comunemente
chiamato squar.
Faccio presente che GABARRA,
BURCHIO, BUCINTORO e RASCONE o MAGANA sono tutti nomi
tipici di barche.
Il cantiere (squero) di Governolo è stato attivo fino
al 1960.
Nerino Vincenti
Questo è davvero un
documento prezioso che rappresenta un capitolo di
cultura materiale ormai estinta e di cui il governolese Nerino
VINCENTI è
un sicuro depositario, in quanto, dopo essere nato in sentina,
ha percorso
tutte le tappe che portano alla completa cooscenza di un lavoro
che più che
una professione è un'arte, specie in quei tempi in
cui l'assenza di forza
motrice a bordo faceva della forza fisica, ma soprattutto
dell'intelletto e
dell'esperienza, le uniche risorse su cui contare per sapere
(per dirla
alla veneta) "barca menare".
La contaminazione del dialetto veneto nella nomenclatura navale
dell'epoca
era assai presente, sia per la lunga tradizione costruttiva,
che
navigatoria dei veneziani ed ha finito per imporre i suoi
vocaboli per
l'indicazione di parti di barca, modi di costruzione e particolari,
eleggendola al modo del gergo adottato da tutti i naviganti.
Anzio
Negrini
P.S.: l'argano prodiero
di cui parla Nerino era detto anche ARNA e veniva
ovviamente azionato a mano per il tramite di aste infilate
nella parte
sommitale della macchina parallelamente al piano di coperta
e permettevano
la rotazione dell'asse verticale della macchina stessa che
poteva servire
sia per salpare l'ancora, che per tendere fortemente un cavo
in occasione
di manovre o di ormeggio della barca.