| 1994-1995. Angelo Leidi. Presentazione 
        alla sua prima Mostra Personale a Villarotta (18 dic. - 7 genn.)"Nei suoi cieli rossi striati di viola muove i primi voli. [ ... 
        ] Antony è pittore, è artista vero, fuori dai canoni comuni, 
        forte come una quercia, dolce, eternamente bambino. Le sue tele parlano 
        per lui... Porterai il nostro Paese lontano con la tua pittura e quando 
        vedrò un cielo rosso so che tu sarai in agguato per fissarlo sulla 
        tela. Parlando di te un giorno con Zavattini mi ha detto: "Lé 
        tott culur!" ('E' tutto colore!')."
 1996, 11 giu. Paolo Mantovani, poeta, per la Mostra di Antony in 
        giugno nella Rocca di Novellara
 "Genialità, immediatezza, senza schemi e legami. I suoi quadri 
        sono pezzei unici, vere e proprie opere d'arte sofferte pur senza rimpianti. 
        Tecnica e forma diventano sostanza artistica... Ritratti che vogliono 
        a tutti i costi farci uscire dal quotidiano per spedirci a volte nel mistico, 
        a volte nella natura innocente del passato, a volte nel grande senso di 
        pace."
 1997, 11 lug. Gazzetta di Reggio E. 
        per la Personale a Villa Tagliata nel bar da Nicoletta"L'arte raramente si preoccupa dell'interiorizzazione dei sentimenti. 
        E' difficile rappresentare la vita che non ci siamo scelti, ma nella quale 
        veniamo scaraventati. La forza, la gioia, l'amore, il perdono, la purificazione, 
        il dolore, tutto da una prima lettura invisibilmente dipinto. Ecco allora 
        che se dipingere è far vedere, è meditare, per Antony è 
        essere tutt'uno con i colori." (P. Mantovani)
 1998. Igor Bortesi, inserendolo nel Catalogo d'Arte dei Pittori e Artisti 
        Contemporanei
 "Vive sulla riva del Po di Luzzara, patria mai avara di artisti. 
        Nei suoi dipinti troviamo i caldi colori dei tramonti del grande fiume. 
        Il suo mondo pittorico, popolato da tristi colwns, è un mondo di 
        diseredati e vinti per i quali la storia non si scomoderà di certo."
 1998, 20 sett. Franco Canova, 
        per la Personale di Antony nel Teatro Comunale di Reggiolo"I suoi quadri coagulano un interessante intreccio di astrattismo, 
        surrealismo, iperrealismo espressionistico con tratti di una pop-art sui 
        generis che ha molti contatti con le ricerche minimalistiche di una certa 
        Avanguardia. E' un mondo di piccole cose, quello di Carboni: ritratti 
        e autoritratti dominano percentualmente la scelta di soggetti 'altri' 
        dal suo "io" fagocitante e nervoso. Paesaggi allora, dove il 
        colore moltiplica le sfaccettature cromatiche; squarci luminosi d'ambiente, 
        dove la luce pare essere catturata misteriosamente; aggressive pennellate 
        striate di magmatiche confusioni coloriche negli oggetti d'uso quotidiano: 
        l'esplosione della forma che proietta all'esterno sensazioni inquietanti, 
        deterge il sudore invisibile dell'affanno, corrode la pacifica acquiescenza 
        del fruitore."
 2005. Marzio Dall'Acqua(Presentazione del Catalogo delle opere di Antony in Mostra al palazzo 
        Museo Bentivoglio Gualtieri)
 "Antony è stato un giullare dell'esistenza, un eterno adolescente 
        che si stupiva del mondo, lo voleva reinventare, con un'alchimistica metamorfosi. 
        Partito da un costante confronto con l'Arte, sia della tradizione post-impressionista 
        che quella a lui contemporanea, ha rivitalizzato la pittura con originali 
        intrusioni nei soggetti noti (ritratti di Ligabue, ragazze di Degas, sedie 
        di Van Gogh, autoritratti di Velasquez, clowns alla Modigliani ecc.). 
        Antony ha creduto nell'opera pittorica come esternazione, come feticcio 
        di un'operazione mitica, dell'oggettivazione di un grumo profondo nascosto 
        nel proprio Io. Il suo era gesto primordiale, proiezione dell'inconscio, 
        filtrati da una cultura artistica di un occhio che aveva visto molta pittura 
        di altri e che contrastava palesemente con i gesti della sua vita e la 
        sua capacità di affabulazione: si raccontava al di sopra delle 
        righe e dipingeva oltre i segni noti e visibili. Ha usato la maschera 
        del clown per nascondere la sua interiore e acuta sensibilità artistica; 
        come doppio di se stesso; come buffone di corte; come specchio dell'anima 
        di ognuno: tristezza e gioia allo scoperto, dopo essere stati mimetizzati 
        nell'animo di ciascuno di noi."
   2005. Franco Canova "Solare, Antonio Carboni, in arte   Carbantony, era solare, in modo adolescenziale. Innamorato del mondo,   della vita, che, nonostante le dure prove alle quali era stato   sottoposto, vedeva con occhi pieni di colori, rendendola permanentemente   bella. C’era in lui un desiderio di trasformare il reale, il mondo con i   colori, di riscriverli dipingendoli, con irruenza, ch’era amore e   passione, era trasporto, eruzione di un’urgenza di dire, ma anche di   darsi, con la totale smemoratezza del ragazzo. La sua cifra era il   paradosso, l’eccesso, il suo discorso era sempre sopra le righe,   esternazione emotiva, che doveva riversare una specie di lava debordante   sulle cose, sulle persone, sugli atti e gli eventi, tutto coinvolgendo,   tutto trasformando, tutto riplasmando. Anche le sue narrazioni, non   erano invenzioni, non erano bugie, ma amava rendere teatrali i racconti,   che venivano animati da un corpo duttile che si piegava a diventare   esso stesso parola, per mantenere sempre il senso della meraviglia,   dello stupore, per cui  si aveva la sensazione che parlasse di un altro e   non di sé stesso. Questo vedersi dal di fuori era talora evidente   anche nel modo di vivere, nelle avventure, al limite, di ogni   ragionevolezza, che viveva, sempre con eccessi, con barocche ridondanze,   con enfasi linguistiche e motorie. Possedeva un’immaginazione viva che   si impattava, si imponeva nella narrazione, tanto da dare il senso di un   continuo ampliamento del possibile, di una riscrittura dell’evento, di   cui lo stesso narratore diventava spettatore. Ed egli piangeva e rideva,   durante il racconto, sperimentava emozioni che erano del presente e non   riproduzione del passato, poiché era un impasto di emozioni e di   pulsioni. Come diceva di sé, scrivendo nel 1989 ad Alfredo Gianolio: “Ma   oggi chi ti scrive è l’amico Antonio, non più il pittore pazzo, ma   l’uomo calmo e sereno che ho scoperto. Ci ho messo vent’anni per   capirmi. E’ dura e sarà ancora più dura perché mi sento un vulcano in   eruzione e il cervello spesso frena. Una volta era diverso. Se tu ben   ricordi ero un’esplosione continua”. E parla di meditazione, prima di   agire, ma deviando subito sull’evoluzione della sua progettualità   artistica “che - scrive - io ho definito l’assurdismo..."
 Marzio Dall’Acquapresidente dell’Accademia Nazionale
 di Belle Arti di Parma
   Alla memoria diCarboni Antonio
 Pittore di strada espressionista moderno di origini padane in arte “Carbantony” o “Antony” “Carboni Antonio era un autentico pittore della strada, non molto   lontano dallo stile di vita del pittore Antonio Ligabue. Il regista   Raffaele Andreassi lo inserì come attore nel film “I lupi dentro”.   Antony non aveva una fissa dimora, amava la libertà e i colori della   vita. Era sicuramente fra i pittori più fuori del comune d’Italia, la   sua auto “abitazione” era un’inconfondibile Ford Ka da lui trasformata   in una singolare tavolozza per dipingere, un vero monumento di   geroglifici, di simboli e di colori.Della vita di Antony si raccontano episodi incredibili come, ad esempio,   il periodo in cui visse in una piccola casa di legno costruita su un   albero, oppure quando scelse di dormire in un loculo cimiteriale.
 Ogni volta che Antony arrivava su una piazza iniziava la festa per i   bambini. Affermava di essere “il più grande artista vivente”. Amava   dipingere i clowns definendoli l’anima ambivalente di ogni uomo.   Quest’uomo artista aveva una sensibilità talmente profonda da   intenerirsi fino al pianto davanti ad un fiore. Ripresosi dalle   emozioni, ringraziava il fiore e gli riconosceva solennemente una tinta   su una tela per offrirla ai primi passanti che si fermavano a guardare   le sue opere.
 Ogni volta che si lavava le mani sulle rive di un fiume o del Lago di   Garda, chiedeva scusa all’acqua per averla disturbata e sporcata. Antony   viveva unicamente sulle riconoscenze economiche delle sue tele. Al   tramonto del sole il singolare pittore amava la solitudine per imprimere   le sue forti emozioni sulle tele. Dipingeva i colori dell’infinito e   dell’animo umano. I suoi quadri si trasfiguravano in forme astratte per   fare sorgere, egli spiegava, le vibrazioni e la musicalità dei colori   della vita.
 Carboni Antonio nacque a Villarotta di Luzzara in provincia di Reggio   Emilia il 13 giugno 1954. La sua vita, come di frequente negli artisti   stravaganti, non fu facile. Dopo aver trascorso i primi anni in   collegio, frequentò l’istituto d’arte Gaetano Chierici di Reggio Emilia.   Antony iniziò l’avventura della vita dipingendo le sue emozioni. Il suo   animo, eternamente bambino, fu in continua evoluzione: studiava, si   aggiornava sulle nuove tecniche pittoriche. I soggetti delle sue tele   furono senza tregua di trasformazione e di sensazioni.
 Carbantony diventò un “pellegrino del mondo”, dipinse per le strade di   tutta Italia e dell’Europa girando la Francia, l’Austria, l’Inghilterra.   Numerose sue opere furono nelle grandi collezioni italiane e straniere.   Negli ultimi anni della sua vita, visse sognando ad occhi aperti sulle   strade dei paesi vicini al Lago di Garda. Affermava di essersi sposato   con “libertà” il nome da lui dato ad un candido cigno che lo   accompagnava sulle rive del lago di Garda.
 Le sue gallerie furono spesso luoghi comuni, caffè, bar e osterie nei paesi dove spesso si fermava.
 Incontrò casualmente a Valeggio sul Mincio (Vr) Claudio Gobbetti che gli   dedicò, ancora in vita, il suo primo profilo biografico pubblicato   dall’Edizione Nuova Cultura C.I.A.C. (Centro Italiano Artisti   Contemporanei) con la prefazione di Luca Stella.
 Antony amava trascorrere giornate artistiche anche con i giovani di   Governolo a Castellaro Lagusello (Mn) e nel Parco Sigurtà di Valeggio   sul Mincio.
 La mattina del 28 giugno 2004 fu trovato privo di vita in una stanza   dell’albergo ristorante “Da Pippo” ad Assenza di Brenzone sul Lago di   Garda. La causa del decesso fu di arresto cardiaco per emorragia   interna, forse la trascurata conseguenza di un’operazione subita diversi   anni prima. Dopo averlo trasportato nella camera ardente di Castelletto   di Brenzone, fu poi tumulato nel cimitero di Villarotta dove, per   alcuni anni, lavorò come custode.”
 Ho sempre pensato “Prima o poi comprerò un suo quadro…perchè son   certa che diventerà famoso…” ed ora se n’è andato. La prima volta che   l’ho visto è stato nel mio paese (che al tempo era anche il suo),   Novellara (RE).Poi… eccolo…a Brenzone (VR), nel mio paese, quello dove vado sempre in   ferie…e appena mi vede comincia a gridarmi : “Ehi Novellara, che si dice   giù di là?”….
 La cosa bella, è che tutti a Novellara lo deridevano…mentre al lago di   Garda era considerato proprio un mito… ogni bar o negozio che si   rispetti espone un suo quadro….
 Non meritava una morte così silenziosa.
 Antony, amavi quello che AMO io… : il Lago di Garda e Brenzone. GRAZIE ANTONY.GRAZIE.
  Antonio Carboni, l’artista che visse sull’albero Antonio Carboni nacque   a Villarotta di Luzzara il 13 giugno 1954. Visse l’infanzia ospite del   collegio “Artigianelli” e si iscrisse poi all’Istituto d’Arte, che   dovette abbandonare per cercare un lavoro. Fu, tra le altre cose,   macellaio, custode al cimitero, operatore ecologico. Negli anni   sessanta, ancora ragazzino, iniziò a dipingere: non smetterà di farlo   fino alla fine della propria vita. Fu girovago (scalzo, in kimono e   bicicletta) nei ‘70, uomo eccentrico, artista e viaggiatore. Non ebbe   mai una fissa dimora. Fatta eccezione per un periodo vissuto in una casa   su un albero, di case ne vide molte ma non si volle mai costringere ad   averne una. Amava la libertà di girovagare liberamente sulla sua   automobile: la sua tavolozza, un riferimento mai immobile, unico per le   sovrapposizioni di colori, simboli e vita. Una tavolozza che non riservò   per se, ma che fu gioco per molti bambini che con lui si divertivano a   dipingere. I   suoi pennelli sperimentarono continuamente, allo stesso modo Carbantony   studiava l’arte, facendo così evolvere la propria. Il suo nomadismo lo   portò in molte parti del mondo, dichiarò di avere un solo legame con un   cigno da lui chiamato Libertà. Zavattini di lui disse ”lè tott culur”,   perché il colore fu in effetti proiezione di sè e la migliore   espressione di una enorme sensibilità. Fu artista per amore incondizionato per l’arte, disegnava per   vocazione e perché questo era ciò che poteva offrire agli altri,   ‘vendeva’ le sue tele per pane, salame e un bicchiere di vino. Dipinse   animali, barche, paesaggi, i volti degli altri e il proprio nelle forme   di un clown. Dicono che si lavasse le mani nei fiumi dopo avere dipinto,   scusandosi con l’acqua per averla sporcata (Gobbetti). Io l’ho conosciuto, mia madre lo invitò a casa nostra e mi rimane il   ricordo di una bella giornata nel vederlo dipingere nel nostro giardino.   Ero piccola, ma lo ricordo semplice e forte di una sensibilità rara,   tenero e carico di un’intensità che il passato gli aveva donato, ma   soprattutto lo riconosco come uomo che ha saputo scegliere di vivere in   assoluta libertà. Morì in un albergo il 28 giugno 2004, dopo avere   dipinto il suo ultimo quadro, “La morte in agguato”.   Anna Vittoria Zuliani 
 
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